«Dove stai andando?»
«Fuori di qui. Racconteremo alla polizia tutto quello che sappiamo e lasceremo che loro si occupino del resto.»
«Ma non mi sei stato ad ascoltare?» Nonostante non avesse alzato la voce, lei parve arrabbiata. «La polizia non possiede autorità sufficiente per liberare mia madre.»
«È stata Lily a farla ricoverare, no? Adesso che la vecchia strega è morta, qualcun altro dovrà assumersi questa responsabilità.»
«Qualcuno lo ha già fatto. Daniel ha acconsentito a tenere la mamma chiusa qui dentro. Lui è dalla loro parte, Joe, è un membro della setta.»
«Può anche darsi, ma possiamo sempre informare gli agenti del rapimento di Sammy e cercare così di riavere almeno lui.»
Cally scosse la testa con vigore. «Non lo troverebbero mai. Lui... ecco, di lui non rimarrebbe abbastanza da poter essere scoperto.»
Assalito dalla nausea, Creed si sentì vacillare.
«Mi dispiace, ma devi sapere quanto sono spietati. Dobbiamo cavarcela da soli.»
Questo non era affatto il territorio di Joe. «Non... non possiamo...» iniziò a balbettare, senza riuscire a terminare la frase.
«Non esiste altro modo, credimi. Questo è qualcosa di più di un semplice festeggiamento in onore di mia nonna, quindi tutti saranno molto occupati. È la nostra unica opportunità, ma dobbiamo agire immediatamente. Dopo stasera non ci si presenterà più una seconda occasione.» Lo afferrò per il bavero. «Lasciami prima trovare Henry Pink...»
«Lui non ha più la minima importanza.»
«Invece sì», ribatté Cally con fermezza. «È fondamentale che tu ti renda conto che ti sto dicendo la verità su Mallik. Se Pink riesce a convincerti, sarai più disposto ad aiutarmi. E io ho bisogno del tuo aiuto, Joe, non posso farcela da sola. Inoltre, pensa alla storia che avrai per il giornale.»
Obiettivo raggiunto. «Prenderemo anche Sammy?»
«Se sarà possibile. Non posso prometterti nulla. Ti prego però di credere che farò tutto ciò che posso.»
Credere? Fidarsi di lei? Questo non rientrava nella natura di Creed. Tuttavia Cally aveva toccato un punto debole: se la storia era vera, ne avrebbe ricavato una piccola fortuna. Non si trattava dello scatto che inseguiva dal principio della sua carriera, quello che avrebbe proiettato il suo nome nel pantheon dei fotografi; no, ancora meglio, questa faccenda (ammesso che il vecchio boia fosse sufficientemente coerente da confermare le affermazioni della ragazza) si sarebbe rivelata lo scandalo del secolo. Immaginatevi i diritti cinematografici su una storia simile! Ammesso che fosse vera. Aggiornatela poi con rapimento, segregazione e adorazione del demonio e avrete una miscela devastante. Era sensazionale! Naturalmente, avrebbe comunque tentato di salvare Sammy, ma in tutta onestà non poteva negare che tutto il resto rappresentasse un incentivo ulteriore.
«Prima rispondi a due domande», esclamò a quel punto, avvertendo un fremito familiare alle terminazioni nervose.
Il viso della ragazza era vicinissimo.
«Perché tanti nomi diversi? McNally, Lidtrap, Buchanan...»
«Buchanan era il cognome acquisito da mia madre in seguito al matrimonio. In realtà, io mi chiamo Calmeira Buchanan, ma la nonna ha insistito affinchè io e Daniel cambiassimo legalmente nome non appena maggiorenni. Vedi, Lily disprezzava mio padre, lo considerava un debole e la causa della rovina di mia madre. Credo abbia disprezzato anche la mamma per tutta la vita. Una sera in cui eravamo molto ubriachi, Daniel e io abbiamo puntato un dito alla cieca sull'elenco telefonico e ne abbiamo ricavato i nostri nomi attuali.»
«Tuo fratello avrebbe dovuto fare un secondo tentativo.»
«No. La regola era quella di attenersi a qualsiasi nome su cui il dito si fosse puntato. Suppongo sia una sciocchezza, ma, come ti ho detto, eravamo molto ubriachi. Quale è la seconda domanda?»
«Come mi hai trovato qui dentro?»
«Usa la testa, Joe. Quando ti ho visto vicino all'ingresso della proprietà, ho supposto che avresti cercato in qualche modo di entrare nell'edificio. Passare dal retro era l'unica soluzione, così sono venuta qui appena ho potuto sgattaiolare via. Alla luce della luna ti ho scorto muoverti fra gli alberi, quindi mi è bastato aspettare che arrivassi alla terrazza. Possiamo andare, prima che si accorgano della mia assenza? Tra l'altro sto congelando.»
Creed non riuscì a pensare ad alcun valido motivo per trattenersi oltre. «Se mi hai mentito ti spezzerò il collo», dichiarò cupo. Si trattava di una minaccia a vuoto, che però lo fece sentire un po' più sicuro di sé.
Sfortunatamente, non appena ebbero salito i gradini e attraversato la terrazza, una folle risata proveniente da qualche punto all'interno della casa lo gettò nuovamente in preda al panico.
30
se mai vi è capitato di visitare un manicomio (o magari di esservi ricoverati per qualche tempo), conoscerete senz'altro l'atmosfera stantia che aleggia nell'aria e che, per qualche strana ragione, ristagna più di notte che di giorno. Forse, a permeare l'ambiente, sono le cellule cerebrali malate che si sgretolano dai degenti nello stesso modo in cui la pelle si stacca dalla carne. Questa, perlomeno, era la fantasiosa ipotesi sviluppata da Creed mentre se ne stava nascosto nello stanzino zeppo di stivali infangati al pianterreno del Mountjoy Retreat.
La ragazza lo aveva condotto sul lato dell'edificio, lontano dalla terrazza e dalle sue grandi porte finestre, la cui luce aveva cominciato a inseguirli come un faro intermittente, costringendoli ad affrettarsi per non farsi individuare. Una volta penetrati all'interno da una porta laterale, Cally lo aveva preso per mano, guidandolo lungo uno stretto corridoio. Alle loro orecchie giungeva un mormorio di voci soffocate miste a musica, ma sembrava trattarsi di un suono molto distante.
Lei aveva trovato il ripostiglio in un batter d'occhio (forse si era già prefissa di nasconderlo là dentro). Il locale possedeva una minuscola finestra dal vetro spesso e sporco al punto da lasciare a stento filtrare il chiarore notturno. A quel punto gli aveva ordinato di aspettare. «Devo tornare alla festa prima che si accorgano da quanto tempo sono assente. Scoprirò in che stanza tengono Henry Pink, poi verrò a prenderti.» Inaspettatamente gli aveva baciato una guancia prima di sgattaiolare di nuovo in corridoio. Se ne avesse avuto la possibilità, Creed l'avrebbe tenuta stretta a sé, ricambiando il gesto con passione considerevolmente maggiore; lei, però, se n'era andata, lasciandolo tutto solo, infreddolito e nervoso, a chiedersi se per caso non fosse l'uomo più stupido del mondo per essere entrato in quel modo nella tana del lupo.
Era rimasto in attesa per venti minuti buoni, ascoltando gli scricchiolii dell'edificio, le flebili note della musica da camera e le voci indistinte. Grazie al cielo non aveva più udito quella risata agghiacciante, ma quello squallido cubicolo che odorava di sporcizia e di polvere possedeva un'atmosfera sinistra tutta sua. Aveva socchiuso di qualche millimetro il battente per due volte, non tanto al fine di ispezionare il corridoio male illuminato quanto per combattere un principio di claustrofobia. In realtà non aveva funzionato: non appena richiusa la porta, infatti, l'oscurità e le pareti si erano fatte ancor più soffocanti. Era buffo (in un senso alquanto bizzarro) come alcune ombre, quando distoglieva lo sguardo per poi riportarlo velocemente sullo stesso punto, sembrassero assai più scure di prima e assumessero un contorno leggermente diverso. Le correnti d'aria, poi, erano sicuramente innaturali: il gelo che gli sfiorava con regolarità le gambe assomigliava al tocco di dita ghiacciate più che al passaggio di uno spiffero dalla finestra. Sarebbe dovuto andare con Cally, correre il rischio e trovarsi un amichevole sgabuzzino per le scope in un corridoio vivamente illuminato finché lei non avesse ottenuto l'informazione voluta. Era maledettamente idiota rimanere lì al buio a esaminare le ombre, mentre la sua immaginazione si scatenava incontrollata.
Per la terza volta aprì uno spiraglio di porta per fare filtrare un pochino di luce dall'esterno. Balzò indietro, battendo la schiena contro un lavabo di pietra e quasi slogandosi la caviglia a causa di uno stivale gettato con noncuranza in mezzo al pavimento, quando nella fessura apparvero delle dita che iniziarono a spingere il battente.
«Ma che cosa stai facendo?» bisbigliò Cally. «Dovevi rimanere chiuso dentro. Mio Dio, ci troveremmo entrambi in un guaio tremendo se ti scoprissero in quest'edificio.»
Entrò trafelata. Negli angusti confini dello stanzino il suo profumo era più forte, ma non riusciva a competere con gli altri odori. Teneva in mano la maschera da sciacallo.
«Cally, non puoi avvisarmi prima di piombarmi addosso in questo modo? Che ne so, fischiettando o qualcosa del genere.» Creed si premette un palmo sul petto per calmare il frenetico martellare del cuore.
«Non intendevo spaventarti.»
«Invece ti stai rivelando bravissima nel raggiungere questo scopo. Hai scoperto dove si trova il vecchietto?»
«Sì. Negli uffici, tutti i ricoverati hanno una casella per la posta e i messaggi. Su ciascuna c'è un gancio con una chiave.»
«Questo posto sembra più un hotel che un manicomio.»
«Penso che la chiave serva a rinchiuderli.»
«Non Pink, spero. Per quanto ne so, non è matto, solo decrepito.»
«Forse. Ma sulla sua casella ho trovato questo...» Gli mostrò un anello metallico da cui pendevano due chiavi. «C'era un'etichetta con la scritta 'Seminterrato'.»
«Pensi sia laggiù?»
«Stanza 8. Ho verificato sul registro nell'ufficio.»
«Ragazza ingegnosa! Sei sicura che una di quelle aprirà la camera di Pink?»
«Non ne esistevano altre. Con ogni probabilità corrisponderanno rispettivamente all'ingresso del seminterrato e alla sua stanza.» Gli porse l'anello.
«Poveraccio! Senti, ho riflettuto sulla situazione. Credo sarebbe meglio uscire di qui e chiamare...»
«Ne abbiamo già discusso!»
Lui sussultò davanti alla sua rabbia.
«Coraggio, Joe, dobbiamo andare avanti.»
«Sei riuscita a sapere dov'è Sammy?» Domandò Creed in tono cupo.
«Non ancora, ma ce la farò. Prima ti porterò dabbasso, poi comincerò a investigare. Non ti preoccupare, lo troveremo.»
Cally si girò e sbirciò nel corridoio. «Via libera», annunciò in un sussurro. Sgusciò all'esterno, subito seguita dal nostro eroe.
Il corridoio sfociava in un atrio molto meglio illuminato. In lontananza si udivano distintamente risate e conversazioni, tutte assolutamente naturali, equilibrate e socievoli.
«Vicino all'ingresso principale c'è un salone, dove in questo momento sono radunati tutti gli ospiti. Fortunatamente per noi, il personale è affaccendato a causa della festa.»
«Non hanno infermieri di turno?»
«Di notte ne tengono solo due, che saranno sicuramente occupati ai piani superiori. Al calar della sera, sono soliti somministrare sedativi ai casi più gravi.»
«Sembra che tu sia molto informata sulle abitudini di questo posto.»
«Per forza, visto che mia madre è ricoverata qui da un sacco di anni. Si può dire che il Mountjoy è una seconda casa per me.»
«È una brutta storia. Non hai cercato di dimenticarla?»
«Chi, la mamma? Non ne sarei mai capace.» Nonostante avesse parlato in tono sommesso, la voce di Cally era piena di passione.
Improvvisamente lo afferrò per le spalle e lo sospinse indietro nel corridoio. Lui la guardò sorpreso e la ragazza si mise un dito sulle labbra. Nell'atrio echeggiò un rumore di passi, che però si muovevano nella direzione opposta.
«Qualcuno era uscito da una porta», spiegò lei in un bisbiglio, dopo aver sporto la testa oltre l'angolo.
«Come arriviamo fino a Pink?» volle sapere Creed. «Non intendo rimanere qui un secondo più del necessario, quindi diamoci da fare.»
«Credo si scenda da quella parte.» La ragazza indicò una porta a poca distanza.
«E perché non l'hai detto prima?» Lui digrignò i denti esasperato.
«Perché non ne sono del tutto sicura. Sulla parte anteriore dell'edificio esiste la scala d'accesso vera e propria, ma so che possiedono un secondo ingresso. Venendo qui ho controllato qualche porta, e penso proprio che quella là sia il passaggio che cerchiamo, visto che si apre su una vecchia scala di ferro. Da lì dovresti raggiungere il seminterrato senza problemi.»
«Tu non vieni con me?» Creed non se la sentiva di investigare da solo.
«Devo tornare al ricevimento, almeno per un po'. Mi assenterò di nuovo appena possibile.»
«Poi troveremo Sammy e ce ne andremo, vero?»
«Anche mia madre. Non intendo andarmene senza di lei.»
«D'accordo, ma non lasciarmi da solo nella cripta troppo a lungo.»
«È solo un seminterrato, ed è stata tua l'idea di parlare con il boia. Dal momento che non credi a quanto ti ho raccontato sul conto di Mallik...»
«Ora non è il momento di litigare. Limitati a venirmi a prendere appena puoi.»
Si diresse alla porta e afferrò la maniglia; prima di entrare, si voltò a guardare Cally.
Ma lei era già scomparsa.
Laggiù regnavano la sporcizia e un tanfo ancora peggiore di quello nello sgabuzzino, visto che si trattava della parte più in disuso dell'edificio (a meno che i piani superiori non fossero nel medesimo stato). Sul fondo della scala cigolante Creed trovò un corridoio dai muri in mattoni sgretolati, dove travi e fessure erano infestate di ragnatele; due lampadine nude gettavano una luce fioca, anche perché erano ricoperte da uno spesso strato di polvere. L'impiantito di cemento trasudava umidità, come se l'acqua vi scorresse liberamente di tanto in tanto; qua e là si notavano chiazze fangose dove lo sporco si era raggrumato e solidificato. Con ogni probabilità al di sotto delle fondamenta doveva esistere una sorgente sotterranea che straripava in caso di piogge particolarmente intense. Lui si aspettò di incontrare qualche topo, ma fortunatamente non fu così, benché si udissero strani rumori raschianti provenire dai muri.
Al termine del corridoio si sentì alquanto sollevato, nonostante il successivo rappresentasse a stento un miglioramento; ampio come quello al piano superiore, si rivelò tuttavia squallido e sporco. Una vibrazione forte e costante indicava che nei pressi doveva essere collocata la caldaia. Su entrambi i lati si aprivano porte prive di battente che conducevano in locali pieni di oggetti disparati: mobili vecchi, quadri con o senza cornice e macchinari non identificabili. Un vero e proprio deposito di rottami sotterraneo.
Procedendo, Joe si imbatté in una porta d'acciaio munita di lucchetto. La cassaforte di famiglia? si chiese. Era lì che tenevano cimeli e tesori? Ma no, quella era una casa di «riposo», non una tenuta privata.
Provò entrambe le chiavi sull'anello, ma nessuna si adattava alla serratura. Si spinse avanti, scegliendo uno dei corridoi che si dipartivano da quel punto e iniziando ad affrettare i passi. Non poteva negarlo: quel posto gli dava i brividi. Persino la grassona della ricezione, con i suoi occhietti porcini affondati in strati di carne flaccida e la vocetta acuta da bambina, gli faceva venire la pelle d'oca. E starsene nascosto lì sotto, poi, in quelle luride viscere deserte, lo metteva davvero sottosopra, per non parlare della solitaria, folle risata udita poco prima. Quella gli aveva dato brividi in abbondanza.
Notò davanti a sé una porta dall'aria solida. Forse conduceva in una zona più salubre. C'era da aspettarselo, visto che probabilmente vi stavano dei pazienti. Si accorse che il battente, rinforzato da una sbarra, era munito di serratura. Spostata la sbarra, provò la prima chiave: da principio si mosse a fatica, ma poi girò con minor sforzo. Nell'aprirsi, i cardini cigolarono.
Il fetore che lo investì era di genere diverso: assomigliava al cibo andato a male, al latte cagliato, alla carne in putrefazione. Creed arricciò il naso, quindi rabbrividì. Non si sentì affatto tranquillo.
Il corridoio davanti a lui era illuminato da lampadine fioche e protette da griglie, del genere usato nelle prigioni (e nei manicomi, naturalmente), a loro volta ingabbiate per impedire ai carcerati di raggiungere il vetro. Su entrambi i lati erano schierate porte strette e basse, tali da costringere chiunque fosse un poco più alto del normale a chinarsi per entrare. Creed notò che erano numerate.
«Pronto o meno», borbottò fra sé, «sto arrivando.» E, avanzò fra le celle.
Quando raggiunse la numero 8, a circa un terzo del passaggio, si fermò e rimase in ascolto: dall'interno non proveniva alcun suono. Se per questo, non aveva udito il minimo rumore neppure davanti alle altre porte. Per un attimo si chiese se fosse il caso di bussare, poi pensò, che diavolo, facciamogli una sorpresa. La seconda chiave funzionò a meraviglia. Dopo aver inspirato a fondo, spinse il battente.
«Salve», esclamò, sbirciando dentro.
Ritirò la testa in tutta fretta: l'aria all'esterno era malsana, ma nella stanza era addirittura fetida. Il vecchio doveva essersi sporcato e nessuno si era curato di ripulirlo, o forse lo avevano dotato di un secchio per gli escrementi che non veniva vuotato da tempo.
Joe si fece forza.
«Salve», ripeté.
Nessuna risposta. E buio totale, in aggiunta. Spalancando completamente la porta, Creed si servì della luce alle proprie spalle per cercare un interruttore, che in effetti trovò, ma solo per scoprire che non funzionava. Addossandosi allo stipite per lasciar passare più luce possibile, si sforzò di esaminare la camera. Non sembrava esserci un granché: un letto angusto, non più di una cuccetta, e nient'altro, fatta eccezione per la figura fra le lenzuola.
Finalmente entrò e rimase sorpreso nel constatare che lì dentro non si gelava. Non faceva neppure terribilmente caldo, ma lui si era aspettato che il locale fosse freddo come il resto del sotterraneo. A quel punto si accorse del radiatore dietro la porta e suppose che quel certo Parmount, per quanto evidentemente incurante delle condizioni igieniche dei pazienti ricoverati lì sotto, perlomeno non intendesse farli morire di ipotermia. Con il fazzoletto premuto sul naso, si avvicinò al letto.
Una testa incartapecorita, l'unica parte del corpo visibile al di sopra del lenzuolo, lo studiò attentamente.
«Vai via.» Una voce tremante.
Creed protese quella che sperava venisse ritenuta una mano rassicurante. «Va tutto bene. Sono venuto a vedere come sta.»
«No, non ti conosco. Sei un estraneo.» Benché la voce fosse flebile, vi traspariva un'accentuata inflessione dello Yorkshire.
«Lei è il signor Pink, vero? Sua figlia...» come cazzo si chiamava? «mi ha mandato a verificare le sue condizioni di salute. È proccupata per lei.»
«Sheila? Preoccupata per me? Non mi far ridere, amico.» Il suo grugnito di disgusto assomigliò a un colpo di tosse. «Chi sei? Che cosa vuoi da me?» Sollevò a fatica la testa dai lunghi capelli bianchi. «È ora di mangiare?»
«Non ancora. Tra poco.» Joe si fece più vicino, e persino con quella luce fioca si accorse che il lenzuolo era grigiastro e pieno di macchie. «Sta bene, signor Pink?»
Il vecchio rimase in silenzio, continuando a studiarlo. Infine, con un sospiro rauco, appoggiò il capo al cuscino e chiuse gli occhi.
«Signore...?» mormorò il nostro eroe, convinto che si fosse addormentato.
«Sto bene?» si chiese l'ex boia. «Sto bene?» Si sforzò di emettere una risata ironica, ma fu scosso da un accesso di tosse.
Creed attese che si calmasse. «Sua figlia, Sheila, vuole farle sapere che di questi tempi non le è possibile venire a trovarla troppo spesso perché...»
«Nuora», fu subito corretto. «Non abbiamo lo stesso sangue. Se mio figlio fosse vivo, non mi avrebbe mai fatto rinchiudere in questa fogna. Non avrebbe mai permesso a questi bastardi di tormentarmi così.» Le ultime parole furono sottolineate da un singhiozzo a malapena represso.
Cercando di ignorare il tanfo proveniente dal letto, Joe si sporse in avanti. «Chi la sta tormentando?»
«Te l'ho detto, quei bastardi. E tu sei uno di loro, vero? Sei qui per molestarmi.»
«No, sono un amico, lo giuro. Se la trattano male, forse potrò fare qualcosa.»
La voce del vecchio assunse un tono lamentoso, quasi infantile. «Non mi lasciano in pace. Non mi permettono di andarmene. Sono stanco, ho vissuto anche troppo e adesso ne ho abbastanza. Loro, però, non mi lasciano morire.» Il suo corpo fu scosso da un altro singhiozzo, seguito da un pianto sommesso.
«Può dirmi chi le sta facendo questo?»
«Vattene, non ti conosco.»
«Posso aiutarla.»
«In che modo? Come pensi di rimediare al male che mi hanno fatto?»
Creed si inginocchiò di fianco al letto. «Sono qui per indagare su questa gente, signor Pink», gli mormorò all'orecchio.
«Eh?» Il pianto cessò e la testa si sollevò nuovamente dal cuscino.
«Appartengo al Ministero della Sanità. Mi sono servito del nome di sua nuora solo per entrare in qualità di normale visitatore e non in veste ufficiale. Teniamo d'occhio questo posto da tempo perché abbiamo ricevuto alcune lagnanze.»
Quell'esile testa da rapace, sostenuta da un collo altrettanto sottile, piombò sul materasso, mentre le labbra si muovevano senza emettere alcun suono.
Joe non capì se il vegliardo gli avesse creduto o fosse troppo sfinito per ribattare. «Ecco, tanto per prendere nota, per stendere un resoconto accurato, lei è Henry Pink, vero?»
«Certo, amico, addetto ufficiale alle esecuzioni per il Ministero dell'Interno.» Dalle sue parole trasparì una stanchezza anche maggiore. «Ne ho impiccati a centinaia, così tanti che alla fine ho perso il conto. Ti dirò una cosa, però: solo pochi hanno disonorato se stessi sul patibolo. La maggior parte se n'è andata con dignità e io ho fatto del mio meglio per consentirglielo. Erano le donne a comportarsi meglio, come se si fossero rassegnate alla loro fine. E bada che si trattava soprattutto di gente rozza, senza troppo cervello. Mi capisci, amico?»
Creed assentì, ma Pink non se ne accorse: stava fissando il soffitto buio come se potesse scorgervi il proprio passato.
«Ne ho giustiziati di ogni tipo, dai criminali di guerra nazisti ai poveracci che avevano strangolato le mogli in un accesso di rabbia, dagli assassini plurimi agli sciocchi disgraziati che avevano commesso un unico errore in tutta la loro vita. Li ho trattati tutti con il medesimo rispetto, perché per me non faceva alcuna differenza la gravita del loro crimine. Mi importava solo che tutto si svolgesse nel modo giusto, e il rispetto nei confronti del condannato faceva parte del mio metodo, come pure la velocità. Sai quanto impiegavo a impiccare qualcuno, dal momento in cui entrava nella stanza dell'esecuzione fino a quando rimaneva sospeso a mezz'aria? Sai quanto, amico? Trenta secondi. Ecco quanto ci voleva se lo facevi nel modo giusto. Anche se alla fine lottavano e tentavano di opporsi, non c'era nessuna differenza. Trenta secondi.» Sospirò ancora, un lungo respiro raschiante che suggeriva soddisfazione.
Joe si sentì assalire dalla nausea, non solo per l'odore, il luogo o la vicinanza con quel decrepito mucchietto d'ossa: le storie di un boia non erano di suo gradimento. «Signor Pink... Henry...»
«Signor Pink.»
«Signor Pink, si ricorda di un uomo?»
«E ora sono tornati a perseguitarmi...»
«Come?»
«Anche quelli che non rammento bene. Ogni notte sono qui, fuori della porta, ridendo, chiamandomi, grattando sul legno. Mi raccontano chi erano e che cosa avevano fatto. I peggiori fra loro, i diavoli, vengono dentro a molestarmi, sputarmi addosso e talvolta anche a passarmi un cappio attorno al collo. Quando se ne sono andati, mi metto a piangere, non riesco a trattenermi, e loro lo sanno, perché li sento ridere e scherzare alle mie spalle. Pensano di avermi fatto impazzire, ma io ho visto e impiccato più diavoli appartenenti alla razza umana che demoni veri. Credi che io sia folle, amico? Lo credi sul serio?»
Una mano scheletrica schizzò dal lenzuolo con rapidità sorprendente e afferrò il polso di Creed. La stretta del boia possedeva la forza di un uccellino, ma il fotografo dovette costringersi a non ritrarre il braccio.
«No, non credo che lei sia pazzo», rispose.
«In tal caso, può darsi che tu ti sbagli, amico.»
Il vecchio si sollevò a sedere, rivelando un corpo tanto sfatto ed emaciato che Joe girò la testa per non vedere, grato che le ombre oscurassero il peggio.
Pink ridacchiò sommessamente, facendo sussultare le spalle scarne.
«Avevo iniziato a chiederle», riprese il nostro eroe, «se ricorda di aver impiccato un certo Nicholas Mallik. Dev'essere accaduto appena prima della seconda guerra mondiale.»
La risata cessò di colpo, sostituita da un gemito acuto, analogo a quello di un animaletto ferito. L'ex boia si accasciò sul materasso e si voltò su un fianco, fronteggiando il muro, quindi si tirò il lenzuolo fino alle orecchie.
Creed si chinò su di lui con l'intenzione di rassicurarlo, ma l'idea di toccare quel corpo ossuto, per non parlare del lenzuolo lurido, gli fermò la mano, che rimase sospesa a qualche centimetro dalla spalla nodosa. Infine, con un notevole sforzo di volontà, si costrinse a sfiorarlo. Pink sussultò sotto il tocco.
«Va tutto bene, signore. Mallik non può farle del male. Ormai è morto, non è vero? Lo ha giustiziato lei stesso.»
«Lui è il peggiore, il peggiore in assoluto.» La frase venne pronunciata con grande amarezza. «Balla su di me come se danzasse sulla mia tomba, solo che non sono morto. E lui ne è felice, perché mi vuole vivo e rinchiuso dove può punirmi...»
«Non si ricorda di averlo impiccato, circa cinquant'anni fa, alla vigilia della Grande guerra?»
Pink si girò con tanta ferocia e agilità da far quasi cadere il fotografo.
«Lui non mi permette di dimenticarlo! Il conte Nicholas Mallik mi perseguita ancora! Mi perseguita e mi schernisce, come piace ai diavoli. Loro vivono per questo.»
«Ma lo ha impiccato!» insistette Creed.
«Oh, aveva sollevato un gran clamore. Con tutti quei bambini assassinati, fatti a pezzi e anche peggio.» Il vecchio guardò Joe con aria scaltra. «Sì, peggio. Li mangiava, mi hanno detto.» Assentì lentamente. «Il Ministero degli Interni voleva il migliore per l'esecuzione, ecco perché ha convocato Henry Pink. A quei tempi nessuno mi batteva. Molti pensavano di valere più di me, ma i direttori delle prigioni sapevano chi era il migliore. Vedi, avevano paura di lui, di quel bastardo di Mallik. Le autorità lo temevano per la sua malvagità. Non ho mai conosciuto un individuo più perverso di lui, né prima, né dopo.»
Ciò detto tacque, ricordando il lontano passato.
Creed, nel frattempo, riflette affannosamente. Mallik era vivo o morto? Cally aveva detto la verità, oppure gli aveva mentito? Pink aveva appena dichiarato che Mallik lo stava ancora punendo, quindi era davvero possibile che quell'assassino di bambini non fosse stato affatto impiccato? O stava solo ascoltando i vaneggiamenti di un vecchio rimbambito?
«Mi racconti che cos'è accaduto quel giorno, signor Pink», lo sollecitò con gentilezza.
«Quale giorno?»
«Quello dell'esecuzione di Mallik.»
«Perché lo vuoi sapere?»
«Semplice interesse. Lei godeva di una grande reputazione ai suoi tempi.»
«Ero il migliore sulla piazza e lo sapevano tutti. Una volta ho anche scritto un libro.» Si sporse in avanti, facendo irrigidire Joe per il fetore che emanava dal suo corpo. «Il Ministero degli Interni poteva contare su di me. Sapevano che ero una persona degna di fiducia.»
Fiducia per cosa? si chiese Creed. Per un lavoro ben fatto o per la capacità di tacere?
«Ho capito che era il diavolo non appena l'ho visto.»
«Mallik?»
«Non è di lui che vuoi parlare? È questo il vero motivo della tua visita. Non ho paura di raccontarti tutto, amico.» Il vecchio si tirò il lenzuolo fino al mento. «Certo, ricordo bene la prima volta in cui l'ho visto. Era il giorno prima dell'esecuzione ed ero andato a prendergli le misure. L'ho osservato attraverso lo spioncino mentre mi voltava le spalle. Era rinchiuso nella prigione di Pentonville. Avevo già scelto la corda, verificato la botola del patibolo e lasciato appeso un sacco di sabbia per tendere la fune. Il lavoro successivo era quello di esaminare il condannato per decidere la lunghezza della caduta — non volevo che soffocasse, capisci, o che gli si staccasse la testa. La caduta dev'essere perfetta per spezzare di netto il collo. Come ho detto, l'ho osservato dallo spioncino, mentre Mallik guardava fuori delle sbarre della finestra. A un certo punto ha avvertito la mia presenza e si è girato a fissarmi negli occhi. Non avevo mai visto tanta malvagità in tutta la mia vita, né mi ci imbattei in seguito, almeno fino a quando non mi hanno chiuso qui dentro.» Per ragioni note a lui solo, il vecchio emise un risolino beffardo. «Finché non mi hanno chiuso qui dentro», ripeté. «Quello sguardo mi torturò la mente per tutta la notte. Di solito, prima di un'impiccagione, dormivo sodo, ma quella notte non riuscii a chiudere occhio. Penso di aver avuto paura di addormentarmi.»
Scosse il capo, quasi fosse ancora perplesso per quel raro attacco d'insonnia. «La mattina dopo, verso le nove, siamo andati nella sua cella. Lo sceriffo, il direttore della prigione, un medico e un paio di guardie erano già nella stanza dell'esecuzione, mentre io e il mio assistente dovevamo prelevare il condannato. Nicholas Mallik ci aspettava calmissimo. Non ha pronunciato neppure una parola. Io gli ho detto di girarsi e lui ha obbedito senza storie, lasciandosi legare i polsi. Non c'erano preti perché Mallik non li aveva voluti. Quando ci siamo avviati, va detto a suo merito, non ha cercato di resistere o di opporsi, ma ha camminato come se passeggiasse nel parco. Alla vista del cappio non ha neppure sussultato, anzi, si è avvicinato come se non gliene importasse un fico. Infine mi ha guardato dritto in viso e sai che cos'ha fatto quel bastardo?» Pink inspirò a fatica. «Mi ha sorriso. Non era un sogghigno o una smorfia, proprio un sorriso piacevole, del tipo che sottintende un 'Ci vediamo domani'. Ti giuro che mi ha sconvolto. Ho preso dalla tasca il cappuccio bianco e sono stato felice di poter coprire quegli occhi malvagi. Poi tutto si è svolto come il solito: il cappio stretto al collo con il nodo scorsoio sulla spalla destra, la botola aperta e la leva premuta. È stata un'esecuzione pulita.»
«Ma allora lo ha impiccato davvero?»
«Certo che l'ho fatto! Per che cosa credi che fossi lì? Subito dopo il dottore ha confermato quello che io sapevo già. In quei giorni, misurare i cadaveri era compito mio, e ti posso assicurare che Mallik era un pochino più lungo di prima. Era morto stecchito, e all'epoca ho pensato di aver fatto proprio un buon lavoro.» Emise un lungo gemito e chiuse gli occhi. «Vorrei solo che adesso mi lasciasse in pace.»
31
«Joe.»
Un sibilo, più che un bisbiglio.
Creed si voltò di scatto e Pink si nascose sotto il lenzuolo.
Cally entrò nella stanza dopo aver controllato il corridoio dietro di sé, presumibilmente per verificare di non essere stata seguita. Il vecchio assunse una posizione fetale, addossandosi al muro con la schiena ai visitatori.
«Va tutto bene», lo rassicurò il fotografo. «È una brava ragazza.»
Dal lenzuolo macchiato giunse una specie di grugnito soffocato; Pink rimase nascosto.
«Non so che cosa gli abbiano fatto quei bastardi che gestiscono la cllnica, ma è terrorizzato», spiegò Joe. «Sarà anche difficile da trattare, ma nessuno si merita una cosa simile.»
Cally si avvicinò e parlò in tono basso e urgente. «Ora non badare a lui, voglio che tu veda qualcosa che ho appena scoperto.»
Turbato, Creed si alzò in piedi. Anche in penombra, si capiva che lei era molto scossa.
La ragazza gli si aggrappò. «Non sospettavo minimamente che qui dentro accadessero cose del genere.»
Lui credette che si stesse riferendo al povero Pink e al suo stato pietoso. «Già. Penso che sarà abbastanza facile far chiudere questo posto quando riveleremo che cosa succede. Abbiamo solo bisogno di prove.» Infilò una mano in tasca, indicando con il capo la figura rannicchiata. «Questa sarà una foto significativa.»
Lei lo tirò per il braccio. «Non c'è tempo. Vieni con me, ti mostrerò qualcosa di ben peggiore.»
«Stai scherzando?» bisbigliò Creed eccitato. «Non posso rinunciare a un'istantanea del più famoso e forse ultimo boia d'Inghilterra finito così, in una cella sotterranea, immerso nei propri escrementi e perseguitato dal passato. È sensazionale.» Estrasse la Nikon e vi montò rapidamente il flash. «Ehi, signor Pink, venga fuori di lì e guardi da questa parte, le dispiace? Non ci vorrà più di un secondo.»
La forma sotto il lenzuolo si rannicchiò ulteriormente.
«Piantala, Joe. Ci sono cose più importanti da fare.»
«Ascolta, Cally, prendi il lenzuolo e scostalo quando te lo dico io. Vedrai che si girerà. Ti accorgerai in che stato si trova. Sarà una foto stupenda.»
«Non riesco a crederci. Come puoi comportarti così? Questo poverino è mezzo morto di paura e tu pensi solo a scattargli una foto?»
«Devi guardargli gli occhi! È come se avessero visto il fantasma di ogni singola persona che ha impiccato.»
«Ti ha parlato di Nicholas Mallik?»
«Sicuro, ma è completamente partito, matto come un cavallo. Crede che le sue vittime siano tornate a perseguitarlo.»
«Anche Mallik?»
«Soprattutto lui. Spostati, così entrerà più luce dalla porta.»
«Ma non sei stato ad ascoltarlo?»
«Che diavolo ti prende? Quell'uomo è pazzo!»
«Nicholas Mallik è qui.»
«Pink mi ha detto di averlo giustiziato.»
«Infatti.»
«Cristo, deciditi! O è sfuggito al capestro, oppure è morto. Non puoi accettare entrambe le ipotesi.»
La ragazza manifestò la propria frustrazione con uno sbuffo irato. «Pensala come ti pare, ma vieni con me.»
«Un paio di foto veloci. Ehi, signor Pink...» Creed si fece avanti e, con sommo disgusto, afferrò l'orlo del lenzuolo. «Henry...» E diede uno strattone.
Il vecchio rotolò assieme alle coperte e per poco non cadde dal letto. Joe arretrò di un paio di passi e scattò: la cameretta fu illuminata da un bagliore accecante e l'urlo di Pink echeggiò fra le pareti, così lacerante da far sussultare il fotografo e Cally.
«Sei un vero bastardo, non è così?» esclamò lei quando l'eco si spense.
Scrollando le spalle in segno d'accettazione, Creed fece per sollevare nuovamente la Nikon quando un prolungato lamento in crescendo filtrò dal muro comunicante con la cella accanto. Lui rimase letteralmente congelato, assolutamente immobile mentre altre grida giungevano dal corridoio. Il suo sguardo si spostò dall'ossuta figura che giaceva nuda sul letto, a Cally e infine alla porta aperta. I gemiti e le urla provenienti da là fuori crebbero di volume fino a trasformarsi in una cacofonia di dolore.
«Gesù», bisbigliò il nostro eroe, «inizia lo spettacolo...»
Pink si unì al coro.
«Adesso possiamo andare?» Più che una domanda, quella della ragazza fu un'esortazione.
Joe annuì e uscì assieme a lei. In corridoio gli ululati di disperazione erano anche più allarmanti, perché sembrava che ogni stanza fosse dotata di una voce propria, che incoraggiava le grida dei vicini.
«Devono tenere quaggiù i casi peggiori», osservò Creed al di sopra del frastuono. «O forse si tratta di pazienti inviati qui dall'assistenza pubblica.» Si guardò attorno. «Meglio battercela prima che qualcuno venga a controllare.»
«Il sotterraneo è isolato acusticamente. Di sopra nessuno se ne accorgerà.»
«Suppongo non desiderino rovinare la quiete del Mountjoy con gli schiamazzi dei picchiatelli, vero? Che altro hai scoperto?»
Benché ancora nervoso (beh, con le budella attoreigliate dalla paura, a dire il vero) e desideroso soltanto di tornare nel caldo, confortevole mondo di sesso, scandalo, alcol e stanze invase dal fumo, Joe avvertiva il fremito familiare che coglie ogni buon giornalista o paparazzo quando una storia unica, o perlomeno buona, è a portata di mano, pronta per essere colta. Come sappiamo, lui era un buon paparazzo (uno fra i migliori, in effetti) e i suoi sensi erano solleticati al massimo, al punto da vanificare ogni terrore. Il contrasto fra l'elegante palazzo sovrastante, dove ovviamente venivano accuditi i «clienti» più ricchi, e quelle squallide segrete in cui erano internati i pazienti meno equilibrati e certamente meno abbienti era stupefacente. Lui si chiese se le celebrità giunte quella sera per onorare la memoria della defunta Lily Neverless fossero al corrente della situazione nei sotterranei. I giornali scandalistici si sarebbero tuffati sulla notizia, soprattutto se fosse riuscito a procurarsi qualche foto degli ospiti più noti da affiancare all'immagine di Henry Pink, uno scheletro d'uomo in preda al panico, costretto a vivere in un crepuscolo perenne, ridotto alla follia dagli incubi del proprio passato. Una faccenda strepitosa!
«Te lo mostro subito, basta che ci affrettiamo.»
«Cosa?»
«Mi hai domandato che altro avevo scoperto», rispose Cally. «Non è lontano da qui, ma devo tornare alla festa, quindi dobbiamo fare in fretta. Spero tu abbia uno stomaco resistente.»
Lui la guardò con aria interrogativa. Le urla attorno a loro crebbero d'intensità.
«Andiamo, Joe, non riesco a sopportare questo rumore.»
Creed si lasciò condurre via, nonostante gli dispiacesse di non aver scattato più foto del povero Henry Pink. Qualcosa batté contro la porta alla loro sinistra, ma Cally lo trascinò in avanti, senza concedergli il tempo di investigare. Qualcuno percosse ripetutamente un altro battente e lui desiderò fermarsi per chiedere chi fosse rinchiuso là dentro; la ragazza, però, continuò a sospingerlo lungo il corridoio. Mentre avanzavano, lui fece in modo di scattare un paio di istantanee del corridoio quasi medievale alle loro spalle.
Svoltato un angolo, si imbatterono in una solida porta di ferro; senza esitare, Cally la aprì. La luminosità proveniente dall'altra parte ferì gli occhi di Joe.
Oltrepassata la soglia, si trovarono in un luogo totalmente contrastante con la squallida zona appena lasciata: muri di un bianco immacolato e pavimenti piastrellati di grigio, lucidissimi. Numerosi tubi al neon illuminavano il percorso davanti a loro.
«Questo è già più simile a una clinica», osservò Creed. «Ma perché quelle segrete là dietro? Sembra quasi che chiunque gestisca questo posto voglia che quei poveri dementi vivano nella disperazione.»
«Forse è proprio così.»
«Come?»
«Magari si tratta di una punizione.»
«E per che cosa?»
La ragazza scrollò le spalle. «Chi lo sa? Può darsi che abbiano fatto arrabbiare qualcuno.»
Lui la guardò con durezza. «Tu ne sai molto di più di quanto non sia disposta ad ammettere.»
«Questo non è il momento né il luogo. Dobbiamo andare avanti.» Chiuse il battente dietro di loro e si incamminò lungo il corridoio.
Creed fotografò in fretta la porta di ferro prima di seguirla. Lei lo attendeva poco più avanti. «È lì...» bisbigliò.
«Che cosa?» sussurrò lui di rimando.
«Dovrai vedere con i tuoi occhi.»
Joe esaminò l'entrata che la ragazza stava indicando. Si trattava di un doppio battente dai bordi in plastica, simile a quelli usati negli ospedali. D'istinto, si sentì assalire dalla nausea e il pallore di Cally gli confermò che esisteva un buon motivo per provare quella sensazione.
«Non puoi limitarti a spiegarmelo?» domandò.
«Hai bisogno di scoprirlo da solo. Dopo, forse mi crederai sul conto di questa gente.»
«Ti credo, ti credo.»
«Entra.»
Rassegnato e assai trepidante, il nostro eroe spinse un battente di qualche centimetro.
«Dentro», insistette la ragazza.
«Tu per prima.»
Con un sospiro lei passò avanti.
Erano in una piccola anticamera completamente vuota; proprio di fronte si apriva un secondo ingresso identico al precedente.
«Una camera a tenuta d'aria?» suggerì lui.
«Le porte sono sigillate per mantenere la prossima stanza più sterile possibile. Ti accorgerai quanto fa freddo là dentro.»
Il gelo li investì di colpo non appena Cally ebbe aperto i battenti successivi. Trattenendo il respiro, Creed entrò.
Fu come inoltrarsi in un frigorifero gigantesco, perché faceva abbastanza freddo da... rimase paralizzato, ma non a causa della bassa temperatura... da conservarvi la carne...
E infatti, al centro del locale, spiccava un tavolo d'acciaio del genere in uso negli obitori, muniti di scanalature per permettere ai liquidi di defluire. Sul suo ripiano giaceva un corpo nudo e grigiastro. Il ventre del cadavere era solcato da un lungo squarcio aperto.
La testa era girata verso di loro, la bocca tesa in un sorriso di benvenuto. Quell'espressione sarebbe stata più convincente se, nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi un occhio, non ci fosse stato un buco rosso scuro. L'occhio azzurro rimasto sembrava piuttosto amichevole, benché un po' vitreo.
Creed credette di riconoscere quel sorriso dalle capsule perfette, ma fu il cranio calvo circondato dai capelli argentei, splendente come se fosse stato lucidato di recente, a confermare la prima impressione. Anche così, però, sentì il bisogno di accertarsene: senza neppure sapere se per curiosità morbosa o semplicemente per lo choc, si avvicinò, chinandosi a osservare il viso del cadavere mutilato.
Si scostò con tanta rapidità da inciampare e cadere contro una parete piastrellata di bianco, rimanendo accasciato sul pavimento in preda ai conati. Voleva vomitare, perché sarebbe stato meglio espellere la massa in subbuglio che gli saliva dallo stomaco, ma non ci riuscì; la bile continuava ad agitarsi, senza però compiere l'intero percorso.
«Qualcuno che conosci?» gli chiese Cally dalla soglia.
Creed non fu in grado di distogliere lo sguardo dal cadavere. «Blythe. Antony Blythe. Scrive la colonna mondana sul nostro giornale. Non capisco. Cosa... cosa ci faceva qui?»
«Perché non gli scatti una foto?»
Ci volle qualche minuto prima che lui registrasse quel commento, e altro tempo perché riuscisse finalmente a guardarla. «Stai facendo dell'ironia?»
Lei si era spostata di fianco al corpo irrigidito. «Vuoi immagini interessanti, no? Non è il tuo mestiere?»
«Smettila, Cally. Non è il momento.»
«Pensavo fosse sempre il momento per una bella foto, una grossa storia. È per questo che sei qui, vero? A caccia di qualcosa di speciale.»
«Sono venuto...»
«Per verificare se dicevo la verità. In questo caso, avresti avuto per le mani del materiale fantastico.»
Joe si trascinò in piedi contro la parete, ma le ginocchia non reggevano ancora il suo peso. Si mantenne rigido. «Non capisco», sbottò in tono disperato. «Non so perché sono venuto e neppure perché mi stai parlando in questo modo.»
La ragazza lo fissò con espressione irata. «Vorrei potermi fidare di te», affermò, per poi aggiungere in tono più pacato: «Ci lavoravate assieme, Joe? Eravate entrambi impegnati sulla storia che credevate di aver scoperto?»
«Ti giuro che ignoro il motivo per cui Blythe si trovava qui. Non ci siamo mai sopportati...» La voce gli mancò nel guardare in direzione del cadavere sventrato. «Non capisco come sia venuto a sapere dell'esistenza di questo posto.»
«Non lo hai detto a nessuno?»
«Io stesso non ne ero al corrente fino a ieri sera.» Ieri sera? Gli sembrava fosse trascorso un secolo. Oh, mio Dio, perché avevano sventrato il povero Blythe? «E tu, Cally, come mai sapevi che era in questo locale?»
«Sono passata di qui venendo a cercarti. Ho sbirciato dentro alcune stanze, non chiedermi il motivo. Suppongo di averlo fatto per semplice curiosità, per scoprire che cosa tenessero dietro queste porte.»
«E sei venuta comunque a prendermi? La maggior parte delle donne sarebbe scappata a gambe levate.»
«Ti stai dimenticando che mia madre è qui. Farei qualsiasi cosa per portarla via.»
Creed non poteva esser certo, proprio non riusciva a convincersi che fosse giusto fidarsi di lei: erano accadute troppe cose, il suo coinvolgimento era troppo profondo. E poi continuava a saltar fuori nei momenti più strani, anche se possedeva sempre una buona scusa. Ma che altro gli restava? Doveva trovare Sammy e liberarlo, e quella ragazza era l'unica persona in grado di aiutarlo.
«E adesso?» chiese in tono cupo.
«Le altre stanze...»
«Non voglio vederle.»
«In una custodiscono grandi recipienti...»
«Non mi interessa.»
«Nei recipienti...»
«Non dirmelo, non voglio saperlo.»
«Parti di cadaveri... organi...»
Lui gemette.
«Li conservano...»
Creed si avviò verso la porta di plastica. «Vieni?» le chiese senza voltarsi.
«Intendi ancora aiutarmi?»
«Come tu continui a ripetermi, non ho altra scelta.» Giunto sulla soglia sollevò la Nikon. «Riposa in pace, Antony. Eri un rompiscatole, ma nessuno si merita ciò che ti hanno fatto.»
E scattò una foto.
32
ora, voi potreste anche pensare che la vista del cadavere sventrato di Antony Blythe avrebbe rappresentato per Creed la classica goccia che fa traboccare il vaso, la circostanza in grado di spingerlo infine oltre il limite; in verità, accecati dalle sue numerose pecche tanto diligentemente elencate finora, vi sarete forse scordati di quanta testardaggine e ostinata determinazione, per non citare la faccia tosta pura e semplice, siano necessarie per raggiungere la cima dell'ignobile albero del paparazzo. Per anni si era visto sbattere porte sul naso, aveva patito minacce e persino violenza fisica contro la sua persona, eppure era sempre riuscito a superare intoppi e avversità, al punto da venire riconosciuto dai suoi stessi pari quale pap supreme, sebbene con una certa riluttanza. In sostanza, nella natura di Creed doveva essere insita una forte spinta interiore, tale da conferirgli capacità di recupero e fermezza anche quando la situazione giocava in suo sfavore (nella maggior parte dei casi, perlomeno). Fino a quel momento, due erano le molle emotive che avevano prevalso sugli enormi disincentivi a procedere: prima di tutto (le elenco nell'ordine esatto) la percezione di una storia davvero grandiosa, con tanto di fascino relativo, e in secondo luogo l'istinto di salvare il proprio figlio. Da quel punto in poi, però, si era scatenata in lui una terza emozione, ossia la rabbia. Creed era assolutamente livido. Anche terrorizzato, inutile negarlo, ma l'oltraggio perpetrato nei confronti di un collega (non aveva mai amato Blythe, tutt'altro, ma quell'uomo era pur sempre stato un membro dell'Ordine dei giornalisti, Cristo santo!) non aveva soltanto alimentato i due motivi testé menzionati: lo scoop era sensazionale e il pericolo che Sammy stava correndo era stato dimostrato al di là di ogni dubbio. Non era certo Sir Galahad, no davvero, non assomigliava minimamente a un difensore della giustizia, ma ecco che Creed parte alla carica...
«Joe, aspetta!»
Cally si affrettò dietro il fotografo, che aveva già percorso buona parte del corridoio. Raggiuntolo, lo tirò per la manica e lo costrinse a fermarsi.
«Che cosa intendi fare?» gli chiese ansiosa.
«Trovare mio figlio e portarlo fuori di qui. Poi andremo direttamente alla polizia.»
(Vi immaginavate forse che, con tutta la sua ira, fosse pronto a catturare quei vili malfattori da solo?)
«Mia ma...»
«Può aspettare! Quando avrò smascherato le attività di questo posto, la riavrai comunque.» Ora fu lui ad afferrare la ragazza per il braccio. «Come hai detto che si chiama questa gente? Angeli Caduti? Mi hai spiegato che sono adoratori del demonio, vero? Beh, dopo aver visto che cos'hanno fatto a Blythe ti credo. Sicuro, credo a tutto quello che mi hai raccontato. Ciò di cui non riesco a capacitarmi, invece, sono le cose accadute a me: la donna, Laura, che cambia forma fino a trasformarsi in un disgustoso ammasso vischioso, e il sosia di Dracula che mi scava un buco nel petto con un dito e mi spia da una finestra cui non poteva arrivare in alcun modo. E c'è dell'altro. Un letto pieno di ragni che pasteggiano con il mio sangue, alberi che vanno a passeggio, ascensori dotati di volontà propria, sai, cosucce che non succedono quotidianamente. Cally, voglio sapere come è stato possibile. Erano tutte illusioni, vero? Ma come ho fatto a pensare certe cose, in che modo sono riusciti a suscitare in me visioni del genere? So che tu mi hai propinato una sostanza allucinogena, ma hai avuto occasione di somministrarmela una volta sola. E in seguito? Che trucco hanno usato per tutto il resto?»
«Nessun trucco. È accaduto davvero.»
Lui la spinse via. «Vai a farti fottere!»
Rimasero a fronteggiarsi, Creed bianco di rabbia e di una notevole dose di paura, Cally serissima e disperatamente ansiosa di convincerlo.
«Ascolta», esclamò lei infine, avvicinandosi e posandogli una morbida mano sul petto, «so che ti sembra assurdo, ma esiste un modo di dimostrarlo.»
Oh, Dio, si disse Joe, è sincera, ci crede sul serio.
«La macchina fotografica non mente mai, vero?» insistette la ragazza.
«Ma certo che mente. Se sei abile, dice qualsiasi cosa tu desideri.»
«Non alla persona che la controlla, però.»
«Dove vuoi arrivare?»
«Puoi scattare foto senza servirti del flash?»
«Qui dentro? Certo, purché la luce sia buona. Il risultato non sarebbe fantastico, ma senz'altro decente.»
«Al ballo di stanotte succederà qualcosa che vedrai con i tuoi occhi, ma cui ti risulterà difficile credere comunque. Fai in modo che la macchina fotografica sia un ulteriore testimone. Ti nasconderò in un posto dove nessuno ti noterà, se solo starai un po' attento.»
L'eccitazione cominciò a prevalere sulla rabbia e la paura. Questa sembrava un'offerta difficile da rifiutare.
«Ricaverai fotografie che faranno il giro del mondo, Joe.»
Impossibile da rifiutare.
«Dammi almeno un accenno», la invitò.
«Non posso. Devi scoprirlo da solo. Anche a quel punto non potrai fare a meno di dubitare, ecco perché avrai bisogno della macchina fotografica.»
«D'accordo, ci sei riuscita, mi hai convinto. Ma per quel che riguarda Sammy? Devo trovarlo.»
«Ci penserò io mentre tu sarai intento a fotografare. Tutti quanti saranno assorbiti in ciò che accade nella sala da ballo, quindi non si accorgeranno della mia assenza. Se agisco in fretta, avrò modo di ispezionare dappertutto. Non ti preoccupare, ti porterò il bambino e ce ne andremo.» Assentì come per rassicurare se stessa. «Quanto a mia madre, hai ragione. Non le succederà niente e la riavrò con me non appena si saprà la verità sulla gente che gestisce questo posto. E tu mi aiuterai a smascherarli.»
Lui trasse un profondo respiro. «Va bene. Un'ultima cosa, finché siamo ancora quaggiù. Dove tengono quegli organi in conserva?»
Era un ottimo posto per guardare inosservati.
Cally lo aveva condotto in una balconata che sovrastava la lunga sala da ballo; nonostante il locale al di sotto, invaso dagli ospiti in costume, fosse vivacemente illuminato da lampade a muro di cristallo, lassù regnava la penombra, come se l'oscurità aleggiante su una marea di colore costituisse un effetto programmato. Oltre la colonna dietro cui Creed stava nascosto, l'obiettivo puntato al di là della balaustra, si scorgeva in distanza la zona riservata all'orchestra; anche i musicisti erano al buio, a malapena distinguibili fra le fioche luci puntate sugli spartiti. Un clavicembalista stava guidando il quartetto nell'esecuzione di un gaio pezzo barocco, una musica in perfetto accordo con gli abiti indossati da gran parte degli invitati. Handel, suppose il nostro eroe, benché, sulla base delle sue scarse conoscenze in materia, avrebbe potuto trattarsi di Mozart o Bach. Chiunque fosse, il compositore si sarebbe rivoltato nella tomba se solo avesse saputo in che sinistro consesso venivano suonate le sue opere.
Creed osservò i ballerini saltellare o piroettare, comunque venissero definiti i passi appropriati per quel genere di roba, e imprecò silenziosamente perché tutti indossavano maschere, alcune notevolmente bizzarre, se per questo. Le foto scattate fino a quel momento erano interessanti, ma prive di valore se risultava impossibile stabilire l'identità delle persone. Poteva solo sperare che più tardi se le togliessero in massa.
Al termine del brano, risate sommesse e chiacchiericcio riempirono l'intervallo finché i musicisti non diedero inizio a un minuetto. Mentre gli ospiti si appaiavano e i colori (oro, blu, rosa) delle ampie gonne e delle giacche a sbuffo ondeggiavano elegantemente, Joe scattò qualche altra inquadratura, questa volta concentrandosi sui travestimenti più assurdi.
Benché in minoranza, un certo numero di individui ostentava costumi ben diversi da quelli settecenteschi; alcuni uomini erano addirittura in smoking, con accompagnatrici i cui abiti da sera sembravano usciti dalle pagine di Vogue. Nessuno, però, era a viso scoperto: le maschere, dei tipi più svariati, avevano in comune la sola caratteristica di essere grottesche. Al pari della testa di sciacallo di Cally, molte rappresentavano animali, anche dei generi più esotici, quali grifoni, serpenti, draghi e arabe fenici. Una persona indossava una gigantesca testa di ratto.
E poi c'erano i demoni.
Quelli si presentavano sotto ogni forma, dimensione e aspetto. Con lo zoom, Creed fu in grado di osservarli da vicino e dovette ammettere che il trucco e il camuffamento avevano dell'incredibile, per quanto rasentassero l'eccesso.
Forse potevano essere professionisti, noleggiati per l'occasione al fine di conferire alla baldoria un'atmosfera fantastica, dato che venivano trattati con deferenza dalla folla. Stranamente, i loro abiti (tuniche, vestaglie o in alcuni casi persino perizomi) apparivano dimessi e malconci, come se provenissero da un'asta di beneficenza, e le creature stesse (difficile pensare a loro come a persone, tanto perfetti risultavano i travestimenti) sembravano stanche, quasi il ballo fosse un po' troppo faticoso. Invece di camminare strascicavano i piedi, tenendo il corpo chino e muovendosi con fare incerto; a dire la verità, il loro aspetto era desolato, più che esotico.
Uno era quasi nudo, un essere panciuto con il becco e la cresta di un gallo, dalla testa sormontata da una corona e una coda da rettile che strascicava dietro di lui; portava amuleti di metallo opaco, reggeva una frusta e, apparentemente, possedeva serpenti al posto delle gambe (come era riuscito a escogitare un trucco simile?). Un altro assomigliava a un pavone, dalle grandi penne spiegate in pieno splendore e dal viso allungato come quello di un asino. Un altro ancora ostentava ali flosce e una lunga veste i cui bordi sdruciti sfioravano il pavimento: avrebbe potuto trattarsi di un angelo caduto se non fosse stato disgustosamente brutto e non avesse tenuto fra le mani una finta vipera che si agitava e contorceva quasi fosse vera (un espediente ingegnoso, questo). Creed si chiese se quel personaggio non rappresentasse la loro grossolana idea di un Angelo Caduto. La sua attenzione fu però attratta da un tizio che aveva un diadema in cima a lunghe corna. Enormi orecchie dal pelo fitto gli sporgevano dal cranio e il viso da capra era sottolineato da una barbetta ispida, le dita delle mani e dei piedi erano affusolate in modo inumano e un falco privo di cappuccio gli stava appollaiato su un polso. All'improvviso si fece avanti fra i ballerini una donna dai capelli bianchi (o, perlomeno, Joe suppose che fosse una donna) e dall'espressione tanto stravolta da lasciar credere che reggesse sulle spalle incurvate i mali del mondo. Era già abbastanza strana di per sé, ma la cosa veramente bizzarra stava nel fatto che aveva metà del corpo dipinta di blu. La creatura in assoluto più incredibile tuttavia, era un uomo con un unico occhio al centro del viso, una mano che emergeva dal petto e una terza gamba sulla schiena (come accidenti aveva ottenuto un effetto del genere?). In aggiunta, poi, la sua pelle era coperta di penne metalliche.
Creed scosse la testa disgustato. Forse loro erano convinti di assomigliare a demoni, ma per lui rappresentavano soltanto un gruppo di deformi scherzi di natura. E laggiù se ne notavano una quantità d'altri, alcuni addirittura più stravaganti, ma a questo punto gli erano venuti a noia. Se hai visto un diavolo, li hai visti tutti, si disse, sedendosi sul pavimento della balconata e appoggiando la schiena alla colonna, attento a non farsi scorgere dai musicisti.
Era questo ciò che Cally aveva voluto fargli vedere? Cristo, l'annuale concorso Miss Mondo Alternativa pullulava di stramberie anche più divertenti quando i travestiti sfilavano in parata...
Si chiese se lei avesse trovato Sammy. La risalita dai sotterranei si era rivelata piuttosto semplice, anche se una volta erano stati costretti a nascondersi nell'udire un rumore di voci dietro un angolo. Giunti al piano terra, avevano trovato rifugio in un ufficio pieno di classificatori, dove lui si era affrettato a sostituire il rullino nella Nikon; quindi aveva manifestato l'intenzione di ficcanasare fra le cartellette, ma la ragazza glielo aveva impedito, sostenendo che era troppo pericoloso attardarsi.
Evitando la zona adiacente all'ingresso, si erano spinti fino a una stretta scalinata (Cally sembrava conoscere l'edificio come il palmo della propria mano, e la cosa lo aveva messo a disagio. D'altra parte, sua madre era davvero rinchiusa lì dentro da un sacco di anni, quindi poteva darsi che il Mountjoy rappresentasse per lei una specie di seconda casa) che li aveva condotti sulla balconata. Alle spalle dell'orchestra c'era una seconda scalinata, assai più ampia, che doveva consentire l'accesso alla sala da ballo sottostante. La ragazza lo aveva lasciato là a osservare, ammonendolo di rimanere nascosto e di stare molto, molto quieto. Questo era accaduto un'ora prima, probabilmente anche di più.
Dapprima lo spettacolo nella sala lo aveva stordito e persinò eccitato, nonostante si fosse ben presto accorto che l'atmosfera non era per niente conviviale come appariva. L'atteggiamento dei festaioli (?) era teso, in qualche modo ansioso, più che gaio; nell'aria vibrava una attesa nervosa, quasi tangibile.
Improvvisamente, però, decise di non aspettare oltre: ancora dieci minuti, poi sarebbe andato in cerca di Sammy per proprio conto. Lo avrebbe trovato anche a costo di ispezionare ogni stanza di quel posto maledetto dopo aver abbattuto a calci tutte le porte. Quel che è troppo è troppo!
Controllò quanta pellicola gli fosse rimasta nella Nikon, operazione per niente semplice in quella luce così scarsa. Più che a sufficienza per l'evento principale, riflette, se mai se ne fosse verificato uno. Tornò a guardare la sala da ballo.
Ecco un tipo che non aveva notato in precedenza. Dio mio, era terrificante! Gigantesco e anche parecchio goffo (a meno che non fosse molto ubriaco). Al suo avanzare rigido, gli altri ospiti gli aprivano velocemente un varco, mentre quelli che non si accorgevano in tempo del suo arrivo venivano spinti da parte in malo modo. Ogni tanto il gigante si fermava e rimaneva a guardarsi attorno, muovendo l'intero torso insieme alla testa come se sotto la giacca sformata indossasse un busto di qualche tipo. Creed si sforzò di rammentare a chi somigliasse quell'uomo.
Il suo costume era decisamente modesto rispetto agli altri e la maschera che indossava, con la fronte ridicolmente alta e il viso pieno di cicatrici, non era né spaventosa né raffinata a sufficienza per meritare un premio. Ma certo, si trattava di una versione da quattro soldi del vecchio mostro di Frankestein! Era un modo veramente strano di onorare la defunta Lily Neverless, ma forse la vecchia matta aveva voluto proprio questo. Il mondo del cinema amava le eccentricità, vero?
Ehila! Frankie aveva sbattuto contro un ballerino, che non sembrava affatto compiaciuto. Questi era un elegantone in giacca di velluto, pantaloni al ginocchio e fascia ricamata in vita; una parrucca incipriata sarebbe tuttavia stata più adatta alla tenuta della maschera pelosa che lo rendeva simile a uno Yorkshire fuori taglia. E anche feroce, se per questo, visto che ringhiò al gigante e fendette l'aria con una zampa (pardon, mano) ugualmente pelosa. Joe scattò una foto.
La sua speranza che da quest'episodio potesse scaturire qualcosa degno di nota andò delusa quando il mostro si voltò e arrancò via, calpestando il delicato piedino di una signora lungo la strada. La poveraccia urlò, ma il suo accompagnatore rivolse un inchino all'immensa schiena prima di condurla timidamente da parte. L'uomo cane (o uomo lupo, come senza dubbio si riteneva) riprese a ballare, per la verità con movenze assai aggraziate.
Creed perse la pazienza e cominciò a riporre la Nikon nella tasca del cappotto. Era troppo agitato per restare lassù anche solo un altro minuto, troppo agitato e maledettamente spaventato per Sammy e se stesso. Tempo di muoversi, trovare il bambino e scappare. Se poi non fosse riuscito a scoprire dove lo tenevano, ci avrebbe pensato la polizia. Dopotutto era per quello che gli agenti venivano pagati, no?
Nel momento in cui si stava alzando in piedi la musica cessò di colpo e uno strano silenzio cadde sulla folla. Le conversazioni si interruppero, sostituite da bisbigli che passarono fra gli ospiti come aliti di brezza; nessuno rise né si azzardò a tossire. Joe sbirciò oltre la balaustra, perplesso per il repentino mutamento d'atmosfera: tutti erano perfettamente immobili e guardavano nella stessa direzione.
A un'estremità della sala si innalzava una breve, ma ampia scalinata semicircolare che conduceva a una serie di arcate chiuse da drappi. Una figura solitaria ed emaciata era in piedi di fronte alle porte.
L'uomo che Cally sosteneva essere Nicholas Mallik indossava il medesimo costume settecentesco prescelto dalla maggior parte degli invitati, solo che il suo abito era assolutamente nero, fatta eccezione per una sottile passamaneria d'oro che orlava la giacca. Persino la sciarpa attorno al collo, annodata in un fiocco posteriore sopra la parrucca bianca, era nera al pari delle calze che spuntavano dalle scarpe a fibbia.
Non fosse stato per il viso terribilmente segnato e per il corpo scarno, sarebbe parso sinistramente elegante. Così come stavano le cose, appariva semplicemente sinistro.
Perché senza maschera? si chiese Creed. In effetti, con un muso del genere, una maschera grottesca non si rendeva indispensabile per accordarsi alle bizzarrie degli intervenuti, ma come mai era l'unico a venire meno allo spirito della festa?
A quel punto accadde una cosa straordinaria. Tra la folla, qualcuno sussurrò un nome e, data l'assoluta immobilità della sala, il suono si estese ovunque. Qualcun altro ripeté il nome, in un bisbiglio appena più forte, subito imitato da varie persone in altri punti. Ben presto si trasformò in coro, sommesso eppure in qualche modo terrificante.
«Belial.»
I presenti caddero in ginocchio a capo chino.
Sbalordito, Joe sbatté le palpebre. Chi era quell'uomo? La folla si stava prosternando in segno di reverenza o di paura? E perché lo chiamavano Belial? Beh, perlomeno non lo chiamavano Mallik, il che liquidava definitivamente l'idea che il pluriomicida fosse risorto dal regno dei morti! Sorrise cupo. Era quasi — quasi — arrivato al punto di credere a quella fandonia. Nonostante lui stesso lo trovasse ridicolo, aveva cominciato a nutrire qualche dubbio! Che cretino!
Ma questa situazione era davvero fantastica. Come aveva sempre sospettato, si era imbattuto in una forma particolarmente maniacale di culto quasi-religioso. O il suo opposto, più verosimilmente. A giudicare da buona parte dei travestimenti e da quanto si verificava nei sotterranei del Mountjoy, decisamente l'opposto. Il nostro eroe rimise mano alla Nikon, sperando intensamente che stesse per svolgersi una rimozione in massa delle maschere, in modo da poter fotografare i visi più noti. Oh, la fama, la gloria, il meraviglioso, sporco denaro! Ne avrebbe ricavato qualsiasi cifra avesse chiesto.
Inquadrò con lo zoom l'uomo che chiamavano Belial (quel nome gli suonava stranamente familiare) e rabbrividì. Cristo, aveva un aspetto sul serio malvagio. Era solo la seconda volta che riusciva a guardare bene quegli occhi infossati, e si rese conto che erano neri come il peccato. (Ma al cimitero non erano stati di un grigio slavato?) Ora stava fissando cupamente gli invitati come se pretendesse una completa sottomissione, pena il tormento per chiunque non gliel'avesse mostrata.
Joe balzò indietro quando quello sguardo malefico parve puntarsi su di lui.
Con il fiato sospeso si rannicchiò il più possibile. Non poteva essere stato scorto: lassù era troppo buio e la balaustra lo nascondeva quasi del tutto. Eppure, per un secondo (anzi, per una frazione infinitesimale), aveva sperimentato la medesima scossa, la stessa sensazione simile a una coltellata nella mente provata il primo giorno al cimitero.
Questa volta era stata brutale, come una scarica elettrica, e lui rimase momentaneamente stordito.
Tuttavia non accadde nulla, perlomeno per quanto lo riguardava: né grida di allarme, né un dito accusatore puntato verso l'alto.
Con cautela, Creed sollevò la macchina fotografica e scattò rapidamente. A quel punto si rese conto che il salone era divenuto notevolmente più buio.
Belial (Belial?) aveva iniziato a parlare e, benché la sua voce fosse bassa, le parole erano perfettamente udibili anche dalla balconata.
«Fra voi ci sono alcuni dubbiosi», esordì l'uomo, quasi intendesse sfidare tutti i presenti, Joe incluso. «Rimangono tuttora coloro che, nonostante quanto hanno visto e ricevuto, non sono convinti degli antichi poteri. Qualcuno fra voi è stato corrotto dall'epoca in cui vivete, ha la mente inquinata dalla volgarità dei valori materialistici, la fede rimpicciolita dall'ateismo del proprio intelletto, i sensi pateticamente saziati dall'immaginario falso e triviale delle fantasie di celluloide.»
Ciance, si disse Creed.
«Se i vostri cuori e le vostre menti sono tanto vacui da farvi percepire i misteri e le antiche ideologie come mero divertimento, inutili astrazioni da rigettare in futuro, qui non c'è posto per voi. Voglio rammentarvi questo: se non credete nel Dio, non potete credere nell'anti-Dio.
«Ciascuno di voi è stato toccato dai poteri e ha ricevuto un beneficio dal loro influsso, eppure taluni non sono ancora soddisfatti, mentre altri temono che le forze degli angeli caduti stiano svanendo, che lo scetticismo anarchico nei confronti delle manifestazioni ultraterrene abbia dissolto la loro potenza spirituale.»
Il nostro eroe fece schioccare silenziosamente la lingua. Se aveva capito bene, questo tizio stava deplorando il fatto che nessuno credeva più all'uomo nero e che gli spiriti malefici, per quanto concerneva il grande pubblico, erano stati ridotti a una forma di passatempo. Beh, probabilmente aveva proprio ragione.
«Stanotte la vostra fede sarà rinnovata e le vostre convinzioni rafforzate in vista del nuovo millennio, quando ancora una volta regnerà il disordine e le gerarchie delle tenebre solcheranno la terra. Voi, i discepoli delle arti demoniache, seguirete il sentiero e sarete sfiorati dalla gloria.»
Qualcuno applaudì, sulle prime in modo esitante, e Creed si chiese se non si trattasse di una reazione imbarazzata. Ma no, altri si unirono subito e ben presto l'intera sala echeggiò di manifestazioni di apprezzamento. L'oratore protese una mano per far cessare il clamore e Joe puntò nuovamente la macchina fotografica: quel palmo sollevato in una sorta di saluto nazista avrebbe compiaciuto i compilatori delle didascalie.
L'uomo proseguì, con voce bassa e oscura come gli abiti che indossava. «Stanotte anche un estraneo sarà testimone del Potere...»
Mormorii di disagio si diffusero per tutto il salone.
«...un estraneo che impersona lo spregevole cinismo di quest'epoca agnostica e terrena. Qualcuno che si è unito a noi di sua spontanea volontà e che fornirà una testimonianza imparziale della nostra onnipotenza.»
Joe rimase a fissarlo attraverso l'obiettivo.
Faccia Devastata ostentava un brutto sorriso sulle labbra sottili e circondate da rughe. Gesù, quel viso era malvagità allo stato puro. Fantastico! Creed fece scattare l'otturatore.
Quasi di proposito, l'uomo guardò direttamente la macchina fotografica.
Il nostro eroe chiuse gli occhi per il dolore e lo choc. Fu come se le delicate pareti del suo cervello venissero brutalmente grattate con uno scalpello, facendolo urlare involontariamente.
Tutti i visi mascherati erano ora rivolti verso di lui e l'uomo in nero, colui che chiamavano Belial, lo stava indicando dal basso.
Joe si alzò in piedi a fatica, la Nikon penzoloni sul petto, dimenticata e ormai priva di importanza. Voleva uscire subito, fuggire da quella trappola infernale. Ormai il terrore dominava su qualsiasi altra cosa, persino sul bisogno di portare in salvo Sammy. Via, via, via...
Girò su se stesso. E si bloccò di colpo.
La maschera da sciacallo gli stava rivolgendo un sogghigno sinistro.
Cally teneva per mano Sammy.
Creed rimase a bocca aperta, incapace di pronunciare il nome del figlio.
La ragazza si tolse la maschera.
E non si trattava affatto di Cally.
Era la donna dai capelli scuri, Laura.
Che gli sorrideva come il pazzo là sotto.
Per la prima volta, Joe si accorse che i suoi denti erano leggermente storti, proprio come quelli di Cally.
33
anche l'abito da sera aderente e rilucente di paillette era come quello che indossava Cally, benché la scollatura fosse sottoposta a una tensione considerevolmente maggiore da parte del prorompente seno di Laura. Gli giunse un'ondata di profumo amarognolo e muschiato, e si accorse di aver già percepito un aroma simile quella sera, nonostante fosse stato più lieve, una fragranza appena accennata piuttosto che un intenso odore. Lo aveva avvertito quando Cally lo aveva raggiunto nello stanzino dove lui era rimasto nascosto.
Come se intendesse deriderlo, Laura fece tremare la propria immagine in modo da lasciargli scorgere per un istante le faltezze di Cally.
Creed si sentì mancare.
Con grande sforzo, riuscì a raddrizzarsi: si trovava in guai troppo grossi per potersi permettere di svenire.
Spostò la propria attenzione sul figlio. Sammy sembrava lontano mille miglia e aveva gli occhi appannati, assenti; indossava ancora l'uniforme della scuola, con la cravatta storta e il colletto sbottonato. Tuttavia non appariva ferito: forse drogato, ma nel complesso illeso.
«Sam...?»
Il bambino sbatté le palpebre, ma non rispose. Una lieve increspatura ombreggiò la fronte pallida.
La donna sogghignò. «Ti aspettano dabbasso», lo informò.
Con una mano afferrò il piccolo per il colletto e, senza il minimo sforzo, lo sollevò dal pavimento. Sammy rimase inerte, lo sguardo sempre fisso nel vuoto. Lentamente e senza staccare gli occhi da Joe, Laura cominciò a «respirare» il bambino.
Creed reagì sull'istante, più velocemente di quanto avesse mai reagito prima in vita sua. Si gettò sul figlio, prendendolo al volo come un giocatore di pallacanestro che intercetta un passaggio e strappandolo alla stretta della donna. Tenendo Sammy fra le braccia, si mise a correre.
Sfortunatamente, in preda al panico, piombò dritto sul quartetto di musicisti raggruppati nella penombra. Violoncello, violino e viola caddero a terra, braccia e gambe intrecciate in un groviglio; Joe colpì, scalciò, urlò e in sostanza si rese molesto fra il cumulo di corpi. Quando infine riuscì ad alzarsi con il bambino stretto a sé, uno dei quattro (un uomo tanto emaciato da far sembrare Madre Teresa una golosa) gli arpionò il torace con le dita nodose. Una ginocchiata sotto il mento del musicista pose fine a quell'idiozia: il malcapitato crollò con un gemito di sofferenza e un brutto morso alla lingua.
Rovesciando i treppiedi degli spartiti e prendendo a calci membra sparse, il nostro eroe barcollò in direzione della scalinata centrale. La discesa non si rivelò semplice (Sammy doveva sul serio dare un taglio a frullati e hamburger) e per ben due volte il tallone gli scivolò sui gradini; furono solo una buona dose di fortuna e la disperazione a impedire il disastro. Giunto a metà, si accorse troppo tardi che le scale conducevano unicamente alla sala da ballo; ancor peggio, intento ad arrancare verso di lui, scorse quel cretino pazzoide truccato come il mostro di Frankenstein.
Tutto sommato, la serata si stava rivelando una schifezza.
«Stai alla larga!» strillò Creed, arretrando di un passo. Questo era un brutto sogno, il suo (anzi, di chiunque) peggior incubo. Benché il trucco non producesse il medesimo effetto agghiacciante dell'originale di Boris Karloff, questo tizio era enorme e sufficientemente spaventevole di suo. «Se ti avvicini ti faccio saltare i denti», lo avvertì Joe. E diceva davvero, proprio così.
Per nulla turbato, il mostro salì.
L'eroico fotografo gli si fece minacciosamente incontro, cambiò parere e si voltò per tornare indietro. Si bloccò immediatamente, perdendo quasi l'equilibrio, perché Laura stava scendendo nella sua direzione.
Ma non camminava, non in senso stretto: galleggiava e cambiava forma nel medesimo tempo. I suoi contorni ondeggiavano, diventando un ammasso in subbuglio, mentre parti del suo corpo colavano sui gradini e macchiavano una parete. Ciò che era rimasto del suo viso era distorto in una smorfia più che in un sorriso.
«Oh...» fu tutto quanto lui riuscì a pronunciare.
Creed rimase immobile al centro della scalinata e Sammy si agitò. «Niente scuola oggi, mamma», pregò nel sonno, per poi rannicchiarsi contro il petto del padre.
Joe aveva due scelte, nessuna delle quali lo attraeva particolarmente: se fossero saliti, la massa vischiosa li avrebbe avvolti, se avesse optato per la discesa, il bruto lo avrebbe steso.
Oh, merda.
Mosse due rapidi passi verso il basso, poi balzò con i piedi in avanti sul gigante, tenendo Sammy ben stretto fra le braccia. Con un po' di fortuna (e sarebbe stata ora che volgesse finalmente dalla sua parte) quell'uomo enorme avrebbe attutilo la loro caduta.
In realtà, la caduta spezzò il collo del mostro, che però non ne risentì come avrebbe dovuto.
Nel momento in cui tutti e tre erano ruzzolati in fondo alle scale, Creed aveva udito distintamente il rumore (spaventosamente forte) di ossa fratturate e si era ferventemente augurato che la lesione fosse mortale. Immaginatevi la sua sorpresa quando si mise seduto e si accorse che anche l'altro si stava trascinando a sedere, per quanto in modo molto goffo e con un sacco di gesticolare e ruggiti privi di senso. Il collo del gigante era inclinato in un'angolatura ridicola, la testa ciondolante sul torace, ma lui si servì di un'immensa mano piena di cicatrici per sollevarsi la fronte in modo da poter fissare Joe con aria accusatrice.
Ma ora anche altri afferrarono il fotografo e il figlio. Sammy gli venne strappato dalle braccia e lui fu trascinato in piedi, nonostante facesse del proprio meglio per opporre resistenza, peraltro inutilmente. Dopo una breve mischia e un mare di oscenità, si trovò di fronte la grassona della ricezione, che (non essendo ovviamente stata invitata al ballo) indossava ancora l'uniforme azzurra e il golf rosa. La donna aveva un'espressione molto seria. Due individui muscolosi, del genere che è possibile ammirare sulle riviste di culturismo, vestiti con l'equivalente maschile dell'uniforme azzurra (ossia senza golfino rosa), lo tenevano saldamente per le braccia.
«Lasciatemi andare!» strepito Creed. «Voialtri non vi rendete conto del guaio in cui vi siete cacciati!»
L'addetta alla ricezione gli indirizzò una smorfia di scherno. «È lei quello che si trova nei guai», rispose con quella vocetta acuta. «Sapevamo che sarebbe tornato. È ancora più stupido di quanto non sembri.»
Dentro di sé, lui ne convenne. Era davvero uno stupido. Perché non era scappato a gambe levate quando ne aveva avuto l'occasione? Si guardò attorno in cerca di Sammy.
Il bambino era sveglio e in piedi, per quanto ancora vacillante. Veniva sorretto da uno degli ospiti, un uomo che indossava una giacca da sera di Armani in seta bianca e aveva la testa completamente nascosta da una maschera da sciacallo.
Sammy sbatté ripetutamente gli occhi dalle palpebre pesanti, come se non riuscisse a vincere il sonno. «Papà...?» mormorò nello scorgere Joe nella stretta dei due infermieri, inservienti, guardiani o qualunque cosa fossero.
«Va tutto bene, Sam. Tra poco arriverà la polizia e ci darà un passaggio fino a casa.»
Quelle parole suscitarono un acceso brusio fra gli invitati che li attorniavano.
«Penso proprio di no.» La voce veniva dal capo opposto del salone, ma risuonava chiara e minacciosa come non mai. La folla si aprì come il Mar Rosso, rivelando l'uomo in nero che pretendeva di essere (o meglio, che altri sostenevano essere) Nicholas Mallik. «Portatemeli», ordinò.
Creed era riluttante a muoversi, ma aveva scarsa voce in capitolo. I due infermieri (o guardie, eccetera) lo spinsero in avanti, mentre Testa di Sciacallo faceva altrettanto con il bambino.
«Un sacco di gente sa dove mi trovo!» urlò il nostro eroe, continuando a recalcitrare. «Il mio giornale, tanto per cominciare!»
«Nessuno sa che sei qui.» Il sibilo di Mallik lasciava trasparire una tale convinzione che Joe si mise a tremare. Qualcuno fra i presenti emise una risatina; altri sghignazzarono.
Mentre i mister muscolo lo trascinavano, visi bizzarri e fantastici sbirciarono il suo, alcuni di loro tanto credibili (reali sarebbe stato il termine sbagliato in quel contesto), realizzati con tale perizia, da rendere difficile considerarli soltanto maschere. L'uomo obeso con un becco al posto del naso e la cresta da gallo lo pungolò con la frusta; il fotografo sobbalzò e tentò di sferrargli un calcio nel ventre, ma gli infermieri lo tennero a bada. Mentre veniva sospinto in avanti, si chiese se nel cadere dalla scalinata non si fosse fatto più male di quanto credesse: quando aveva cercato di colpirlo, il grassone non gli era parso del tutto a fuoco.
Occhi che facevano capolino da maschere osservarono il suo passaggio: altri occhi, vistosamente falsi, visto che sporgevano dalle maschere stesse, luccicavano inspiegabilmente di piacere malevolo di fronte alle sue difficoltà. La megera bicolore si alzò in punta di piedi per ridergli in faccia e lui girò bruscamente la testa per sfuggire al terribile fetore che usciva da quella bocca.
Creed guardò con difficoltà alle proprie spalle e vide che il figlio era subito dietro di lui, con l'espressione ancora imbambolata.
«Non ti preoccupare, Sammy», lo esortò, la sua classica spacconeria ridotta ormai quasi a zero, «ce la...»
Qualcosa sbatté contro di lui. Joe si girò e scorse il muso peloso del tipo con la testa e le zampe da cane. Vere e proprie zanne balenarono a pochissimi centimetri dal suo naso, provocandogli quasi un conato di vomito per l'alito terrificante che accompagnava quell'esibizione (quell'individuo non aveva più messo piede dal dentista da un bel pezzo). Per un atroce istante Creed fu certo che l'uomo lupo stesse davvero per morderlo (quei denti erano terribili), ma improvvisamente uno degli infermieri colpì con forza il naso della maschera. L'essere irsuto si allontanò a balzi, uggiolando come, beh, sì, come un cane bastonato.
Joe guardò a turno i due ammassi di muscoli ed esclamò: «Ma voialtri state scherzando!»
Loro lo costrinsero a camminare, i visi assolutamente privi di emozioni: solo due tizi normali intenti nel proprio lavoro, esattamente come Heinrich ed Hermann si dedicavano al loro ai vecchi tempi. Infine lo scaraventarono ai piedi della gradinata dove Nicholas Mallik lo aveva atteso pazientemente.
Creed atterrò pesantemente su mani e ginocchia, ma si sollevò subito in piedi, furioso e spaventato.
«La denuncerò per questo!» sbraitò. «Lei sta commettendo un gravissimo errore!»
«Sei tu quello che ha commesso uno sbaglio», giunse la tranquilla risposta.
Certo, si disse Joe, mi sono fidato della ragazza. O, quantomeno, l'ho assecondata.
«Sfortunatamente hai interferito in questioni che vanno ben oltre la tua percezione molto limitata.» Mallik mosse un passo verso di lui e il nostro eroe arretrò di due. L'azzurra parete di muscoli alle sue spalle gli impedì un'ulteriore ritirata.
Il fotografo rabbrividì alla vista ravvicinata di quelle fattezze raggrinzite, un viso così saturnino, con tanta malvagità scritta nelle rughe profonde, e così infinitamente vecchio da fare sembrare che quell'uomo potesse avere mille anni.
«Senta, non m'importa dei vostri affari», insistette, cercando di non afflosciarsi sotto quell'ispezione intimidatoria. «Vi ho già consegnato le foto, quindi che altro volete da me? Sono solo un fotografo, lo sa, e non m'interessa spingermi oltre. Del resto, che cosa avevo? Un'istantanea di una persona sconvolta dal dolore sulla tomba di una cara e defunta attrice. Pensa un po' che roba. Chi se ne fo... che importanza poteva avere?»
«Ma sei stato testimone di ben altro. E la tua presenza qui stasera ci causerebbe ulteriori problemi in futuro.»
A Joe non piacque il modo in cui Mallik stava sorridendo.
«Tutto quello che ho visto qui dentro è un ballo in costume di alta classe. Che cos'ha di tanto speciale?»
«Oh, ma hai fatto un giro panoramico, scoprendo molto più di quanto avresti dovuto. Hai visitato i sotterranei segreti di quest'edificio, per esempio. Dimmi, che impressione ne hai ricavato?»
La scenografia sarebbe potuta essere un tantino più vivace, pensò di obiettare lui, ma chissà perché non si sentì in vena di umorismo; aveva la bocca troppo asciutta, la gola stretta e, oh, Dio, era troppo spaventato. Che ne avrebbero fatto di lui e di Sammy?
«Nessun commento? Siamo a corto di parole? Ecco un lieto cambiamento.» Mallik alzò la testa e si rivolse agli invitati. «Questo individuo...» persino il dito puntato era devastato dalle rughe «...questo sciocco, questo miscredente, rappresenta — no, è l'impersonificazione — della volgare società odierna, una società che nega le tradizioni e le verità delle antiche credenze, una società che deride le dinastie sovvertitrici e le sostituisce con le proprie vuote creazioni mitiche.»
Con occhi di fuoco, sputò le parole. «Le divinità infernali vengono ignorate a favore di falsi demoni, del tipo che possiede lame al posto delle dita o è vittima di deformità fisiche, impostori che creano il caos con strumenti vili quali coltelli e mannaie. Semidemoni di origine terrestre che possiedono seghe a motore al posto di poteri diabolici. Mentre noi...» ruggì la parola «...NOI veniamo trascurati in favore di questa nuova moda nel campo della malvagità.»
Incredulo, Creed scosse il capo. Questo tizio ce l'aveva con Freddy Krueger e i suoi amici.
Mallik tornò calmo. «Persino le nostre stesse creazioni sono state rubate e trasformate in mistificanti e spurie immagini tese a divertire, squallidi brividi per le masse. Questa insensibilità ci ha indebolito. Il nostro primato nell'ordine del caos è sminuito dai capricci del pubblico e dal cinismo sociale. La nostra sovranità sulle rotte inique è minacciata da metafore dozzinali e ingannevoli. Ma questa decadenza finirà, e finirà stanotte. Costui...» agitò nuovamente il dito rugoso verso Joe «...sarà testimone della nostra resurrezione, questo cinico crederà nella rinascita.»
Tutti i presenti parvero compiaciuti all'idea, e lo dimostrarono applaudendo e vociando. Uno o due lanciarono urla degne di un quiz televisivo.
«Se per voi è lo stesso...» esordì il nostro eroe. Mallik non ebbe neppure bisogno di chiedergli di tacere: il suo sguardo trafisse il malcapitato con tanta forza da farlo accasciare. Se i due infermieri non lo avessero sorretto, sarebbe crollato a terra.
Il fotografo scrollò la testa per snebbiarla. «Chi... chi è lei?» balbettò. «Chi è veramente?»
«Conosci la mia identità», rispose l'uomo in nero. «Nella mia precedente esistenza ero Nicholas Mallik e ora mi chiamo Parmount. In questo mondo, perlomeno.»
«Dunque non l'hanno impiccata. Se l'è cavata concludendo un accordo.»
«Non essere ridicolo. Certo che mi hanno giustiziato, e non è stato affatto piacevole.» Allentò la sciarpa che gli circondava il collo. «Controlla di persona», lo invitò.
Creed osservò la gola raggrinzita e rabbrividì alla vista delle orrende cicatrici, che sembravano esser state prodotte da una corda. Benché fossero indubbiamente vecchie, erano ancora di un viola acceso con venature rossastre.
«Lei è sopravvissuto a quello?»
L'altro divenne impaziente. «Ovviamente no, ma sono sopravvissuto in seguito.»
Joe assentì come se avesse capito. Poi aggiunse: «Non capisco».
«Comprenderai adesso.»
Mallik alias Belial alias Parmount compì un mezzo giro in direzione delle arcate e pronunciò un nome: «Bliss».
La tenda fu scostata lentamente e ne emerse il sosia di Nosferatu.
Creed strabuzzò gli occhi. Bliss? Quel fottuto scherzo di natura si chiamava Bliss, ovvero «beatitudine»?
Il mostro teneva per mano qualcuno.
Lei era in rosa, e non si poteva assolutamente definire carina. La gonna dell'abito da sera, molto ampia, spumeggiava di trine e lunghi guanti bianchi le arrivavano ai gomiti; le spalle erano coperte, ma la scollatura si inabissava oscenamente per una donna della sua età e in quello stato. La pelle le pendeva flaccida dalle ossa come se la carne si fosse consumata.
Aiutata dall'esile accompagnatore, trotterellò fino alla cima della gradinata e si guardò attorno in una rigida parodia di regalità. Joe udì gli ospiti dietro di sé boccheggiare attoniti.
La discesa della donna fu precaria: per due volte barcollò, e fu solo il rapido intervento di Bliss (Bliss?) a impedirle di cadere.
L'unico dettaglio gradevole in Lily Neverless era la parrucca, il medesimo ammasso di ricci fuori moda, ma accattivante che aveva costituito il suo marchio di fabbrica sullo schermo e nelle apparizioni pubbliche.
Con la mano libera (l'altra era aggrappata al suo gobbo aiutante) reggeva una sigaretta in un lungo bocchino nero, la seconda nota caratteristica di Lily. Parecchie volte, nel corso della traballante discesa, tentò di infilarselo fra le labbra pesantemente truccate, ma sfortunatamente sembrava incapace di coordinare le proprie azioni, con il risultato di continuare a portarselo alle guance o sul mento.
Particolare bizzarro (aggettivo che rappresenta a dir poco una minimizzazione), accanto al suo naturale occhio castano, un compagno di un azzurro intenso stava osservando con fissità Creed.
Lui sobbalzò, quindi rabbrividì, immaginando da dove fosse venuto quell'occhio azzurro.
Lily, o la cosa che un tempo era stata Lily, si esibì in una smorfia che sarebbe dovuta essere un sorriso.
Si avvicinò a Joe, borbottò qualcosa, si schiarì la gola e provò di nuovo.
«Lui...eeembra...»
La lingua secca balenò fra le labbra rosso carico. «Sembra...»
Oltrepassò Mallik con sguardo rannuvolato, pensieroso, vacillò un pochino, quindi allungò il bocchino in direzione del nostro eroe.
«Sembra...ooprio... Mi...ickey... Rourke», concluse.
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creed era troppo sconvolto per parlare, troppo pietrificato per muoversi.
Lily Neverless — la defunta Lily Neverless — stava di fronte a lui, ondeggiando un pochino, un nervo che si contraeva su una guancia, tuttavia in piedi, respirando, sorridendo e osservandolo con un catarroso occhio castano e uno di un azzurro sorprendente, nient'affatto suo, bensì prelevato dal cranio senza vita di Antony Blythe (ma era morto davvero quando glielo avevano rubato?) e ricucito in questo zombie. E Joe non dubitava minimamente che si trattasse proprio di lei, la vecchia Lily, perché l'aveva avvicinata altre volte, in occasioni normali, fotografandola all'uscita di un teatro o di un ristorante. Di conseguenza sapeva, era certo, che fosse lei, che Lily Neverless avesse fatto ritorno dalla tomba...
Ora credeva.
Improvvisamente credeva a tutto quanto gli era stato raccontato su quella gente, a come Nicholas Mallik si fosse preso gioco del cappio, ai demoni, ai mostri e al potere sulla vita e sulla morte. Ora credeva...
Vacillando, Lily avanzò di un passo.
Oh, Dio, questo era il suo ballo di debutto!
La mano dell'attrice si liberò dalla stretta della sua macabra scorta e si sporse a toccare il viso di Creed.
Quindi emise una specie di gorgoglio, una parola priva di senso. Un liquido giallastro le colava da una narice.
Il petto di Joe si gonfiò, prendendo fiato per urlare.
Ma prima che potesse emettere un solo suono, si scatenò il pandemonio.
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il catalizzatore furono lampi bianchi, bagliori in rapida successione che riempirono il salone e accecarono i presenti. Tuttavia non seguì alcun tuono, solo folgori continue e silenziose, tanto veloci da costituire praticamente un'unica esplosione di luce.
Sbalorditi, gli invitati continuarono a sbattere le palpebre, incapaci di reagire e totalmente ammutoliti. Creed, che era abituato allo scatenarsi dei flash, si riparò automaticamente gli occhi.
Nicholas Mallik rimase irrigidito sui gradini, lo sguardo smarrito. Lily Neverless si mosse sotto questa specie di effetto stroboscopico alla maniera dei suoi primi film muti. Bliss si girò di qua e di là, un ragno gigante dalla testa calva imprigionato in una rete di luminosità fluttuante.
Quel caos durò pochi secondi, quindi qualcuno urlò. E non si trattava di Joe.
Altri si unirono al grido, e l'intera sala da ballo parve improvvisamente galvanizzata dal suono. Si scatenò un vero e proprio marasma di folla in tumulto.
Solo Creed sapeva esattamente che cosa stesse succedendo. Subito si voltò verso le porte finestre che adornavano un lato della lunga stanza, da cui provenivano i lampi delle macchine fotografiche. Ringraziò Dio e fu quasi sul punto di cadere in ginocchio e sollevare le mani al cielo in lode al Signore. I ragazzi erano tutti lì.
Una delle porte finestre si spalancò verso l'interno sotto la spinta combinata dei paparazzi in preda all'eccitazione, che si riversarono dentro in massa, calpestandosi a vicenda, gli obiettivi puntati sull'attrice rinsecchita che danzava un solitario e sgraziato valzer, sorridendo alla folla, nuovamente una star, l'occhio azzurro sfavillante, quello castano stranamente opaco e vitreo. Benché confusi, stupiti e perplessi, i fotografi non cessarono il lavoro, i veterani ben consci di star scattando le immagini della loro vita, i più giovani, che forse non sapevano di aver di fronte una leggenda, nondimeno galvanizzati dal valore giornalistico del soggetto. Quella diva un tempo famosa aveva preso in giro il mondo intero, convincendolo della sua morte.
Creed avrebbe potuto baciare a una a una quelle brutte facce (anzi, avrebbe potuto baciarli in bocca), compreso Bluto, che, come sempre, era in primissima fila, strisciando sulle ginocchia come una specie di gigante dalla crescita bloccata e cercando di mantenere ferma la Leica mentre i colleghi lo spingevano e gli tiravano gomitate. Per nulla imbarazzati dalla coscienza, fregandosene altamente dell'invasione della privacy, dell'irruzione in una proprietà privata e del teppismo, avanzarono in forze su Lily Neverless, chiamandola per nome e pregandola di restare immobile per un attimo!
«Ma è sul serio Lily?» uno di loro gridò a Creed.
Lui assentì e cominciò ad arretrare nel momento in cui i suoi custodi in uniforme azzurra si slanciarono sul branco di paparazzi. Andò a sbattere contro invitati che sembravano non capire come comportarsi; parecchi fra loro si reggevano le maschere sul viso con le mani come se intendessero proteggere la propria identità.
Un ruggito prevalse sullo schiamazzo generale e tutti coloro che si trovavano nei pressi sollevarono lo sguardo sulla gradinata, dove Nicholas Mallik si ergeva immobile, le spalle incurvate, un dito tremante puntato sugli intrusi. Il suo viso, già normalmente cupo, era livido, letteralmente annerito dalla rabbia. Con immenso stupore di Joe (o meglio, ulteriore stupore, dato quanto era già accaduto in precedenza), l'uomo sembrava alitare vapore (ma doveva trattarsi dell'aria fredda proveniente dalla porta aperta che annebbiava le calde ondate di rabbia fuoruscenti dalle narici di Mallik, doveva per forza essere così).
«Come osate!» gracchiò, il suo abituale tono sobrio ormai non troppo in evidenza. «Come osate introdurvi in questa proprietà!»
I fotografi boccheggiarono.
Qualcuno scattò un'istantanea.
«Uscite subito!»
I paparazzi si guardarono l'un l'altro con le sopracciglia inarcate. Uno di loro scrollò le spalle e fece scattare l'otturatore.
Il petto e le spalle di Mallik cominciarono a sollevarsi. I vapori che gli uscivano dal naso divennero uno sbuffo continuo. La sua immagine iniziò a tremolare.
Creed assistette alla graduale, sussultante trasformazione e quasi crollò a terra sopraffatto dal terrore. Mentre osservava, pensò ai demoni dei libri e dei film dell'orrore, anche se questo era assai più raffinato, molto meno estremo delle visioni concepite dall'uomo, ma proprio per questo ancor più agghiacciante — e reale. La manifestazione non era chiara: ondeggiò, pulsò, diventò una sorta di ologramma in movimento, che si attenuava per poi manifestarsi di nuovo con contorni più netti, sempre più audace finché non rimase immobile e fissa. Gli ospiti attorno a Joe si chinarono, per paura o forse in segno di omaggio.
«Chi è quel tipo?» chiese uno dei paparazzi.
«Nessuno», rispose un altro.
Tutti ripresero a dedicarsi a Lily Neverless, che ormai stava barcollando come una grottesca marionetta cui fossero stati tagliati la maggior parte dei fili.
«Da questa parte, Lil!»
«Di qui!»
«Che ne dici di un sorriso?»
«Perché hai finto di essere morta?»
Fradicio di sudore, Creed guardò incredulo dal demone furente al branco di colleghi, che palesemente non vedevano ciò che invece era evidente a lui e ad altri nel salone. Quell'orrida metamorfosi non aveva avuto alcun effetto su di loro, che non notavano assolutamente nulla di insolito.
Tornò a fissare il demone, ma scorse soltanto un vecchio stanco e curvo, intento a contemplare i fotografi con affranta disperazione. Il corpo di Mallik parve rimpicciolirsi per la sconfitta.
Il pandemonio ricominciò come prima.
«Papà!»
Joe si girò di scatto. Evidentemente Sammy non era più tanto assonnato, visto che si stava contorcendo fra le braccia dello sconosciuto con la maschera da sciacallo, cercando di sfuggirgli. Il nostro eroe si aprì un varco fra la gente per raggiungerli.
Afferrato un braccio del bambino, tirò con forza, ma l'uomo si opponeva con tenacia, mantenendo la stretta e rifiutandosi di lasciarlo andare. Disperato, Creed mollò il figlio e partì all'attacco della figura mascherata, aggrappandosi al muso da sciacallo e strattonandolo via per poter prendere a pugni il viso che vi si celava. La testa di cartapesta cadde a terra.
«Lidcrap!»
La smorfia di odio allo stato puro sul volto di Lidtrap era infinitamente più brutta della maschera. L'uomo si scostò dagli occhi i riccioli biondi e bagnati di sudore e si scagliò sul fotografo.
In passato, però, Joe aveva evitato attacchi anche più furenti, fino a diventare a tutti gli effetti un maestro del tuffo a sorpresa. Lidtrap lo oltrepassò in volo e lui ne approfittò per assestargli una gomitata, tanto per agevolarlo un po' nella caduta. La costosa giacca di Armani si strappò sulla schiena quando Daniel finì in scivolata sul pavimento.
Preso per mano il figlio, Creed si guardò attorno affannosamente, incerto sulla via d'uscita. E non era il solo ad affrontare un simile dilemma, dato che una quantità di persone stavano sgusciando qua e là in un disordine totale, entrando in collisione le une con le altre, spingendo e tirandosi reciprocamente. Sembrava che nessuno volesse essere fotografato.
La porta finestra aperta era l'opportunità migliore, decise Joe: infilarsi fra i paparazzi e strisciare all'esterno. Alcuni colleghi stavano litigando con gli infermieri, intenti a saltare su e giù davanti al branco, agitando le braccia per rovinare le foto. Uno dei due commise l'errore di tentare di acchiappare la Leica di Bluto, che, come è noto, si arrabbiava facilmente quando qualcuno gli toccava la macchina fotografica (persino Sean Penn aveva imparato a non essere troppo aggressivo con quello specifico paparazzo). Come prevedibile, Bluto colpì immediatamente la mano molesta, quindi, per dimostrare la propria serietà, sferrò un pugno sulla guancia del mister muscolo. Immediatamente nacque una mischia a tre sul pavimento, mentre gli altri fotografi si trovarono gioiosamente liberi di proseguire il lavoro.
«Coraggio, Sam», lo sollecitò Creed, muovendosi rapidamente, «adesso ce ne andiamo.»
Ma qualcosa lo afferrò per il colletto, costringendolo a voltarsi. L'uomo lupo emise un ringhio cupo che il nostro eroe avrebbe reputato ridicolo se quella sera non avesse visto e udito troppe cose in grado di sconfiggere qualsiasi logica. Scostò la testa per sfuggire a quell'alito tremendo mentre zanne canine balenavano all'altezza della sua gola.
«Non fare l'idiota!» urlò, attaccandosi alla testa pelosa per spingerla da parte. Subito si rese conto di non avere fra le mani una maschera, perché sotto quell'ammasso irsuto si sentiva il calore della carne. Artigli acuminati gli squarciarono gli abiti fin quasi alla pelle; la belva ringhiò, ruggì e, nel complesso, fornì la convincente impressione di essere davvero un lupo mannaro assetato di sangue. Joe, la cui incredulità era ormai totalmente sospesa, scalciò e urlò nello sforzo di sfuggirgli. Era tutto folle e nel contempo molto reale.
L'unica arma in suo possesso, l'unico oggetto a portata di mano, era la sua fedele Nikon, e fu con qualche rimpianto, ma senza alcun ripensamento, che la scagliò fra le zanne bavose di fronte a sé. Il suo assalitore uggiolò sputando tre denti, quindi balzò via dolorante, sparpagliando ospiti in tutte le direzioni. Sfortunatamente, Lily Neverless vagava nei dintorni, una mano imperiosamente protesa in avanti e il lungo bocchino finalmente al proprio posto fra le labbra cariche di rossetto (che ormai le chiazzava guance e mento). Era sempre incerta sulle gambe, ma sorrideva benevolmente; oltrepassando l'uomo lupo in preda alla sofferenza, gli accarezzò la testa. Quel gesto condiscendente fece infuriare la belva, che le saltò addosso e le azzannò la gola, facendo schizzare sangue troppo denso per essere naturale.
La vecchia attrice emise un borbottio soffocato e i paparazzi si bloccarono sconvolti per l'orrore, allontanando dai visi le macchine fotografiche. Forse l'orrore continuò a pervaderli, ma di sicuro lo choc fu presto superato: gli obiettivi ritornarono a puntarsi e gli otturatori scattarono con frenesia rinnovata davanti a questo nuovo spettacolo. «Aiutatela!» urlò uno di loro, ma nessuno volle perdersi quell'opportunità unica, meno di tutti il fotografo che aveva gridato.
Una donna con un vestito color oro e una voluminosa parrucca incipriata andò a sbattere contro Creed, che riacquistò la padronanza di sé, smise di osservare l'ulteriore morte di Lily Neverless e si voltò per riprendere il figlio.
Ma il bambino era scomparso.
In preda al panico, guardò in tutte le direzioni. Ormai la maggior parte degli invitati stava dirigendosi all'uscita del salone per tornare alle macchine e battersela dal Mountjoy Retreat il più velocemente possibile, senza dubbio grati che il ballo fosse in maschera e che le loro identità rimanessero un mistero per i giornali. Tuttavia, Sammy non era fra la folla in fuga. Creed scorse la megera bicolore, ma solo di sfuggita, perché stava sbiadendo come una dissolvenza cinematografica, diventando un nulla, un semplice spazio vuoto. Quindi un'altra immagine sfocata, questa ancor più vicina, una rapida impressione di un becco e un ventre prominente prima che sparissero a loro volta. La creatura con il muso d'asino e la coda da pavone era rimasta sola, lo sguardo pieno di risentimento, finché non svanì con un breve scoppio analogo a quello di una lampadina, esaurita, lasciando dietro di sé un mucchietto di penne che volteggiarono pigramente a terra prima di scomparire.
La ricerca di Joe divenne ancor più frenetica. Forse Sammy si era smarrito nella calca, troppo piccolo per essere notato in quel parapiglia. O forse non si era affatto diretto da quella parte. Si voltò verso Mallik, o meglio verso la gradinata vuota, visto che anche lui era svanito, ma giusto in tempo per scorgere la grottesca figura di Bliss (che nome inadeguato!) che scivolava dietro la tenda. Il mostro gli girava le spalle, ma era ovvio che teneva qualcosa stretto sul corpo ricurvo; Creed intravide una piccola scarpa che sporgeva sotto un gomito aguzzo.
«Sammy!»
Il nostro eroe si lanciò all'inseguimento, aggirando la belva pelosa ancora china sul mucchio di stracci che per un breve periodo era stata di nuovo Lily Neverless, intenta a strappare brandelli di carne e a inghiottirli. Fra i bagliori dei flash, le persone in fuga e i numerosi corpi caduti al suolo, era quasi come attraversare una zona di guerra. Creed salì gli scalini a due per volta e oltrepassò la tenda.
Al di là sorgeva un ampio corridoio illuminato da un lampadario centrale, sul quale si aprivano numerose porte. Parecchi ritratti in cornici dorate decoravano le pareti, visi appartenenti alla storia, a giudicare dallo stile pittorico e dal loro abbigliamento; alcuni gli erano vagamente noti, ma non perse certo tempo a studiarli da vicino. Sul fondo si vedeva una scalinata, dalla balaustra elegantemente incurvata verso il piano superiore. Udì un rumore di passi e si affrettò in quella direzione; fermatosi ai piedi dei gradini, si accorse che, invece di salire, i passi scendevano.
Dietro la scala scoprì una seconda rampa che conduceva nel sotterraneo. Non aveva nessuna voglia di tornare laggiù, non desiderava affatto seguire quell'orrida creatura nelle sinistre viscere del Mountjoy, ma Sammy era là e chi poteva sapere che malvage intenzioni avessero Mallik e la sua agghiacciante guardia del corpo? Si ricordò il crimine per cui il Conte era stato impiccato: avrebbe fatto lo stesso con Sam, lo avrebbe smembrato per spregio, vendetta, magari addirittura in memoria dei vecchi tempi? Doveva agire.
Sul primo gradino esitò, pensando che, d'altro canto...
La tenda alle sue spalle venne scostata con veemenza e il gigante dal collo rotto piombò nel corridoio, andando a sbattere contro la parete. Barcollò all'indietro di qualche passo e rimase là, respirando affannosamente e ispezionando il pavimento con la testa ciondolante. Scorto Creed con la coda dell'occhio, si sollevò il viso con le mani per avere una visuale migliore, quindi emise un grugnito (di soddisfazione, probabilmente) e ruotò il corpo verso il fotografo ipnotizzato. Infine avanzò verso di lui agitando le braccia.
Joe scese a tutta velocità, salutato dal malsano odore di sporcizia e di demenza. Non avrebbe mai saputo se sarebbe entrato in quelle tenebrose catacombe anche senza l'incentivo del mostro impazzito che gli dava la caccia, ma di certo non era il momento adatto per riflettere sull'argomento. Superò con un salto gli ultimi scalini e atterrò contro una porta.
Pregò che non fosse chiusa a chiave. Non lo era, ma dall'altra parte del battente notò un chiavistello (strano che lo avessero installato all'interno. Per tenere fuori la gente, forse?), che fece scattare immediatamente prima di addossarsi al portone di legno per riprendere fiato. Un violento susseguirsi di tonfi gli indicò che, là fuori, il suo inseguitore era ruzzolato dalle scale; nel silenzio che seguì, lui sorrise di cupa soddisfazione.
Il sorriso svanì quando qualcosa si abbatté sull'uscio all'altezza della sua testa, mettendo a dura prova i cardini e incurvando addirittura il legno. Creed balzò via come se avesse ricevuto una spinta.
Una fioca lampadina che pendeva nuda dal basso soffitto illuminava a malapena il percorso fino a una seconda lampadina altrettanto inadeguata. Lui le seguì, non provando il minimo desiderio di attardarsi nelle vicinanze della porta, sempre deformata dai colpi. Si trovava ovviamente per la seconda volta nella zona più tetra del sotterraneo, con ogni probabilità vicino al retro dell'edificio e forse nei pressi del punto in cui lui e Cally (ma era davvero Laura, un'altra di quelle bizzarrie degenerate che fingevano d'essere umane?) erano entrati in precedenza. Si imbatté in una breve gradinata di pietra e in un altro corridoio. Gli parve di udire voci in distanza, ma non ebbe la più pallida idea di dove provenissero; gli giunse alle narici un lieve odore di fumo.
Alle sue spalle risuonò uno schianto, subito seguito dal clomp clomp di pesanti stivali.
Joe affrettò il passo, mettendosi a correre una volta arrivato in un tratto più ampio. Quel luogo gli era familiare, e fu certo di esservi già passato quando vide davanti a sé la porta d'acciaio simile a quella di una cassaforte.
Adesso era spalancata. E sulla soglia lo attendevano Bliss e Sammy.
36
le unghie acuminate della creatura da incubo erano conficcate nella gola del bambino.
«Calma!» lo esortò Creed, protendendo il palmo della mano, ma rimanendo a debita distanza.
Bliss mostrò i denti orribilmente lunghi e sibilò.
Il nostro eroe rabbrividì. «Sai che facciamo?» dichiarò, sforzandosi il più possibile di dimostrarsi ragionevole. «Consegnami mio figlio e ti lascerò scappare. Quando arriverà la polizia, te ne sarai andato da un pezzo. Sai benissimo che ormai è finita, tuttavia non è necessario che sia tu a pagare. Vattene ora, finché sei in tempo...»
Da uno dei corridoi filtrò un mormorio di voci e gli occhi da insetto di Bliss saettarono qua e là, in cerca della fonte. Creed fu lieto di scorgere in quello sguardo una profonda confusione.
«Coraggio, rassegnati», insistette, avanzando di un passo.
Il mostro sollevò Sammy e tuffò la testa ossuta verso il collo del piccolo, le zanne aguzze contro la pelle.
«Papaaaaa...» gemette il bambino.
«Non fare lo stupido!» sbottò Joe. «Non sei un fottuto vampiro, ma solo un tizio mingherlino afflitto da carenze alimentari. Se però sei deciso a succhiare un po' di sangue, d'accordo, eccoti il mio.» Asseconda il bastardo, si disse, arrotolando una manica della camicia e porgendogli il braccio nudo. «Forza, scordati le scemenze sul sangue vergine, tanto il suo sarebbe troppo dolce per te. Il mio, invece, è in giro da un po', invecchiato in una botte buona, se così vogliamo esprimerci, come un ottimo scotch.» Quando tratti con un folle, devi pensare come un folle, riflette, continuando ad avanzare. Questo scherzo di natura è interessato, può anche darsi che ci caschi.
«No!» urlò.
Bliss aveva inarcato la testa all'indietro, pronto a colpire.
Creed protese la macchina fotografica come fosse un crocefisso appeso al petto e premette l'otturatore, sperando che il trucco usato al parco funzionasse di nuovo. Se solo avesse potuto accecarlo momentaneamente con il flash, forse sarebbe riuscito a strappargli Sammy dalle braccia. Questa volta, però, non accadde nulla. Provò ancora, ma con il medesimo risultato. Infine gemette, rendendosi conto che qualcosa doveva essersi rotto quando aveva infilato la Nikon fra le mascelle dell'uomo lupo.
In quegli orribili occhi fissi si notava davvero un lampo di gioia malefica? Sul serio Bliss stava tradendo un'emozione umana? Joe cercò di parlare, di protestare, ma non ne fu in grado. La bocca di quell'obbrobrio si spalancò, le zanne umide luccicarono.
Due cose accaddero contemporaneamente.
Il mostro dal collo spezzato irruppe sulla scena e gettò goffamente un braccio attorno alle spalle del fotografo, mentre dall'altro capo del corridoio si riversò un'orda di Erinni urlanti (così sembrarono a Creed, perlomeno, per quanto non ne avesse mai viste prima in vita sua. Se però gli fosse capitato, era certo che sarebbero state identiche a quel drappello eterogeneo). Alcuni erano nudi, altri indossavano cenci a brandelli che sarebbero potuti essere lenzuola; tutti apparivano penosamente emaciati, come fossero sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti. Le donne avevano i capelli lunghi e scarmigliati, seni penduli e corpi incrostati di sporcizia, mentre parte degli uomini (quelli abbigliati con pezzi di lenzuolo) avrebbero potuto presentarsi a un provino per la parte dell'«antico profeta di malaugurio» in una tragedia greca. Henry Pink, il lenzuolo lurido avvolto all'inguine come un enorme pannolino, agitava flebilmente le chiavi rimaste nella serratura della sua cella aperta. Les Misérables si affollarono nel passaggio e si bloccarono di colpo nello scorgere gli altri occupanti. Tutti quanti rimasero impietriti, fissandosi attoniti a vicenda.
Fu Creed, inutile a dirsi, a reagire per primo.
Si lasciò cadere come una pietra, scivolando sotto l'immenso braccio che lo cingeva e saettando tutto rannicchiato verso il figlio.
Quando lo raggiunse, lo scenario tornò a ravvivarsi. Il gruppo dei degenti balzò in avanti e sommerse il trio: Creed, Bliss e Sammy finirono sepolti sotto la marea di corpi, crollando al di là della soglia e piombando nella stanza dal pavimento di cemento.
Joe avvertì un violento dolore al petto, ma si sforzò di districarsi dal groviglio e di sbarazzarsi di chiunque lo stesse trattenendo per la schiena. La fitta divenne più acuta, al punto da convincerlo di esser stato pugnalato; in un certo senso era proprio così, perché, quando controllò, si accorse che l'aspirante vampiro aveva ricominciato con i trucchi ed era intento a scavargli un buco attraverso i vestiti con la sua casalinga arma letale, ovvero il dito ossuto.
Il nostro eroe scosse il capo e fissò dritto negli occhi sporgenti sotto di sé. «Non sta accadendo veramente», informò Bliss. Tuttavia, nel momento in cui si esaminò nuovamente tanto per esserne sicuro, notò un rivolo di sangue sulla mano della creatura.
Il dolore, il terrore e il disgusto furono tali da spingerlo a sforzi quasi sovrumani: si sollevò ulteriormente, liberandosi con facilità di altri due corpi scarni che gli erano saltati addosso, e afferrò per il bavero il proprio assalitore in modo da sollevargli da terra la testa e le spalle. Nello stesso tempo, con un movimento breve, ma estremamente brusco, lo colpì con la fronte.
Lasciò immediatamente andare Bliss e si portò le mani al capo, gridando per la sofferenza, quindi rotolò via dalla propria vittima stordita e giacque di schiena sul pavimento.
«Papà, papà...» Inginocchiato di fianco a lui, suo figlio lo stava scuotendo per le spalle.
«Sì...» Joe si sforzò di sedersi. «Sì, sto bene. Cristo, ti sembra il momento?»
Si massaggiò la fronte e aprì gli occhi a fatica, incerto su dove si trovasse e che cosa stesse facendo.
«Papà...» lo sollecitò Sammy, scuotendolo di nuovo.
Creed rabbrividì, promettendo a se stesso di non provare mai più a colpire qualcuno con la testa. In quel momento si accorse che l'odore di fumo era diventato molto più forte; quando infine riuscì a mettere a fuoco la vista, capì il perché.
Dapprima scorse bagliori ambrati riflessi sui visi e sui corpi nudi o seminudi della folla di dementi raggnippati sulla soglia, poi notò le lingue di fiamma che si agitavano negli occhi del figlio. Immediatamente si girò nella direzione in cui tutti stavano guardando.
Il luogo dove si trovavano era in realtà soltanto il pianerottolo d'accesso a una scalinata di cemento che conduceva in una enorme stanza costruita a livello delle fondamenta dell'edificio. Lì non esistevano ragnatele o macchie d'umidità, in quanto quel locale era un deposito ben protetto di mobili antichi, dipinti e oggetti preziosi. Ovunque si vedevano orologi piccoli e grandi, statue parzialmente danneggiate o perfette, scatole d'oro o d'argento e voluminosi bauli che avrebbero potuto ospitare gioielli o documenti. C'erano anche numerose casseforti, tutte aperte, il loro contenuto cartaceo sparpagliato a terra per alimentare l'incendio.
E al centro di tutto questo, circondato da cose meravigliose che ben presto sarebbero state divorate dalle fiamme, sorgeva un trono di quercia dalle decorazioni intricate su cui sedeva la figura accasciata di Nicholas Mallik.
Quell'uomo appariva ormai tanto vecchio e rugoso, così incredibilmente antico, che lui stesso sarebbe potuto esser stato scolpito nella quercia. Era inanimato, assolutamente immobile, benché il fuoco gli sfiorasse le caviglie; non accennò la minima reazione neppure quando il costume nero iniziò a bruciare e le sue carni presero a sfrigolare e a piagarsi. Sembrava troppo stanco per muoversi.
Fu quasi affascinante osservare, una sorta di perverso incantesimo, e Creed si chiese come mai Mallik non si contorcesse né urlasse per l'atroce tormento. In che modo riusciva a sopportare un dolore simile? Le sue gambe vennero avvolte dalle fiamme, quindi il torace, finché tutta la scarna figura non divampò letteramente; il rogo gli inghiottì le braccia, riducendogli le mani a un ammasso di vesciche marrone rossastro.
L'odore di carne abbrustolita divenne intenso quanto quello del fumo.
Joe si strinse Sammy al petto per impedirgli di guardare.
Solo quando il fuoco raggiunse il viso orribilmente essiccato Mallik diede segno di vita.
Mentre i capelli bruciacchiavano e le guance si annerivano, sollevò lentamente il capo. Forse fu la vista degli spettatori a mutare la sua espressione, o forse l'intenso calore che gli distorceva le carni del viso forzò la sua bocca priva di labbra in un sorriso. Avrebbe anche potuto trattarsi di uno scherzo dell'immaginazione, ma Creed ebbe la certezza che quegli occhi scuri e colmi di disprezzo si fossero fissati solo su di lui prima di ribollire e velarsi di un opaco biancore. Le fiamme gli sommersero anche la testa, e Nicholas Mallik si mosse per l'ultima volta.
Si appoggiò allo schienale crepitante, quasi fosse stata una giornata lunga e faticosa e desiderasse prendere sonno.
L'incendio infuriò su di lui, schizzando scintille che si innalzarono fino alle travi del soffitto.
Un lamento acutissimo distolse l'attenzione di Joe dal rogo funebre. Bliss stava lottando freneticamente per liberarsi dal groviglio di corpi in cima alle scale, gli occhi inchiodati al terrificante spettacolo sotto di sé. Il fotografo si spostò di lato nel momento in cui la creatura, divincolatasi, lo oltrepassò a precipizio con quella strana andatura da ragno, scendendo i gradini e lanciandosi a capofitto fra le fiamme, che immediatamente si appiccarono ai vestiti.
Il nostro eroe rimase a osservare inorridito mentre Bliss si gettava sulla cosa rattrappita a stento visibile al centro di quell'inferno. Una grande colonna di fuoco lo avvolse istantaneamente, innalzandosi fino al soffitto ed espandendosi fra le travi in un'ondata accecante. I folli schiamazzarono esultanti.
Sammy abbracciò stretto il padre e nascose nuovamente il viso, questa volta spontaneamente. Con voce soffocata supplicò: «Portami a casa, papà. Per favore!»
Con la schiena addossata al muro, Creed avanzò cautamente fra le Erinni giubilanti, il figlio abbarbicato alla vita e un braccio sul viso per proteggerlo dal tremendo calore. Assieme sgattaiolarono oltre la soglia, cercando di passare inosservati, pronti a correre se qualcuno avesse mostrato interesse nei loro confronti. Fortunatamente, a quel punto l'attenzione generale era incentrata sul mostro dal collo fratturato, che percuoteva l'aria con i pugni enormi, ruggendo la propria ira all'indirizzo dei pazzi che lo stavano molestando. Con la testa che ondeggiava da una spalla all'altra gli risultava difficile colpire nel segno. Qualcuno apparve alle spalle del fotografo reggendo un pezzo di legno in fiamme (forse un bracciolo o la gamba di una sedia) e agitandolo al di sopra del capo, quasi incendiandosi i lunghi capelli. Con un urlo si slanciò sul gigante e gli vibrò sul viso il tizzone ardente, mentre i presenti inneggiavano al magnifico gesto e si mettevano a ballare, imitando il lamento straziato della creatura. Alcuni fuggirono di corsa dalla stanza tramutata in un rogo con altre torce fra le mani e cominciarono a tormentare l'essere mostruoso, circondandolo e appiccandogli il fuoco ai vestiti.
Ho già visto questo film, pensò Joe.
Un'esplosione di fiamme eruppe dalla soglia, trascinando con sé una serie di corpi inanimati; numerose figure seguirono, vere e proprie palle di fuoco urlanti, che rimbalzarono sulle pareti o scomparvero lungo i corridoi, illuminando il percorso.
«Sei in grado di correre, Sam?» chiese Creed al bambino, alzando la voce per farsi udire al di sopra del caos.
Il visetto paffuto si scostò dal suo stomaco e guardò in su con occhi sbarrati e pieni di terrore. «Mi terrai per mano, papà?»
Abbracciandolo stretto, lui sbatté le palpebre: Dio, quel fumo gli faceva lacrimare gli occhi. «Ma certo. Mostriamo a tutti quanti che cos'è la velocità.»
Con le dita saldamente intrecciate, partirono di scatto.
Attraversarono corridoi oscuri, mentre Joe pregava che si stessero dirigendo verso la parte posteriore dell'edificio e, con un po' di fortuna, alla stretta scala che li avrebbe condotti alla porta laterale dalla quale era entrato qualche ora prima. Niente da fare: ben presto si accorse di essere nelle profondità del labirinto sotterraneo. Quando giunsero al cupo tratto su cui si aprivano le celle, prese in considerazione l'idea di tornare indietro, ma il chiasso alle proprie spalle gli indicò che quella strada era preclusa. Il gruppo dei folli bloccava la ritirata.
Riprese ad avanzare, coprendo nuovamente gli occhi del figlio quando oltrepassarono un mucchio carbonizzato e ancora fumante. Il lezzo del cadavere bruciato (Creed era stupefatto che quel poveraccio fosse arrivato così lontano) era terribile, ma veniva eguagliato dal fetore proveniente dalle porte aperte su entrambi i lati.
Più avanti si imbatterono in qualcosa che strisciava verso di loro. In principio il nostro eroe aveva creduto che si trattasse solo di un cumulo di stracci, forse abbandonati lì da uno dei prigionieri, ma poi notò che si muoveva (alquanto lentamente, però senz'ombra di dubbio). Il corpo di questo malcapitato era interamente ricoperto di bende luride, compreso un occhio; ancor più sconcertante risultava lo spettacolo dei metri di garza che strisciavano sul terreno dove avrebbe dovuto trovarsi una delle gambe di quella specie di mummia. In effetti, l'arto mancante era visibile a una certa distanza, un mozzicone nero con due dita del piede soltanto, e stava cercando di raggiungere il resto del corpo.
Creed sobbalzò alla vista dell'alluce, praticamente scarnificato, che si contorceva all'unisono con il tallone nello sforzo di procedere. Mentre entrambi lo aggiravano, l'essere bendato sollevò un braccio come per chiedere aiuto, ma subito lo lasciò ricadere a terra, sollevando polvere e probabilmente anche frammenti di carne in decomposizione.
In un paio di celle aperte si scorgevano cose in movimento, forme, grumi, che conservavano ormai ben poca somiglianzà con gli esseri umani, ma a quel punto la curiosità di Joe era definitivamente sazia: si guardò bene dall'investigare oltre. Sospingendo Sammy in avanti, fu sollevato nel lasciare quel tenebroso museo degli orrori per passare nei corridoi più luminosi (sebbene, a modo loro, ugualmente sinistri) del settore «medico», dove il cadavere depredato di Antony Blythe giaceva su una fredda lastra di metallo e dove era situato il magazzino dei pezzi di ricambio: organi e bulbi oculari, arti e fegati, milze e laringi.
Non permise al bambino un attimo di sosta, nonostante entrambi stessero ansando e sbuffando, quando i passi del figlio si fecero strascicati, se lo tirò appresso, rallentando solo impercettibilmente. «Non... è... lontano, Sam. Solo... un po'... di strada... ancora», lo incoraggiò con il fiato corto.
Sammy cominciò a piangere.
«Okay, okay.» Joe si fermò e si mise in ginocchio. «Cavalluccio. Ricordi quante volte lo abbiamo fatto quand'eri piccolo?»
Il bambino assentì, il labbro tremante. «Qui dentro non mi va», mormorò in tono infelice.
«Sei stato trattato male?»
Lui scosse la testa. «Non credo. Ho dormito.»
Creed chiuse gli occhi per il sollievo. Forse, con un po' di fortuna, suo figlio era stato imbottito di droga al punto da non accorgersi delle terribili attività che si svolgevano in quel posto. «Salimi in spalla.»
Il bambino ubbidì e Creed, sollevatesi in piedi, gli diede un'affettuosa pacca sul sedere grassoccio. «Quando questa storia sarà finita, si ricomincia con la dieta.»
«Sì, papà», fu la docile risposta.
Non troppo stabile sotto quel peso, il nostro eroe riprese il cammino finché non giunsero in un vasto corridoio alla cui estremità si notava una porta a soffietto. L'aveva già vista prima, quando lui e Cally si erano diretti alla sala da ballo: si trattava di un montacarichi usato per le merci, i pazienti (presumibilmente per trasferirli al piano inferiore al fine di sottoporli a trapianti d'organi provenienti da donatori per nulla consenzienti) e i degenti più anziani. Allora avevano evitato di servirsene, immaginando che sarebbe stato più discreto sgattaiolare su per le scale; adesso, però, non era certo il momento di comportarsi furtivamente.
Rumori di passi e schiamazzi dementi alle sue spalle lo spinsero all'azione. Una volta raggiunto il montacarichi, gli parve di reggere sulle spalle un sacco di carbone. Tirò la maniglia e la porta si aprì lentamente, a sobbalzi; dopo avere depositato Sammy in un angolo senza troppe cerimonie, si girò rapidamente per richiuderla.
I pazzi erano già a metà del corridoio, una terrificante calca subumana al suo inseguimento, la pelle annerita dallo sporco e dal fumo, i visi accesi di follia. In quel tumulto non riuscì a scorgere Henry Pink, ma non sostò certo a controllare con attenzione: cominciò a spingere il battente.
Che iniziò a scorrere, ma si bloccò dopo qualche centimetro.
Creed spinse con più forza: la porta riprese a muoversi, si arrestò di nuovo, avanzo a fatica, quindi rimase incastrata, lasciando un'apertura di sei centimetri. Lui la colpì con violenza, poi sferrò un calcio. «Bastarda!» la insulto.
Cambiata posizione, prese a far leva sulla maniglia, spostando il soffietto a poco a poco. Quattro centimetri, tre...
Dita sudice dalle unghie rose fino alla carne si insinuarono nella fessura e bloccarono il battente.
Joe non esitò un solo secondo: si chinò e morse con ferocia. Un urlo dalla parte opposta e le dita scomparvero. Lui chiuse di scatto la porta.
Una gragnuola di colpi si abbatté sul montacarichi, con furia spaventosa, ma scarsi risultati. Qualcuno cominciò a tirare la maniglia dall'esterno e Creed dovette far ricorso a tutta la propria forza per opporsi. Infine fu costretto a sobbarcarsi il rischio di lasciare la presa per raggiungere i pulsanti, dei tre, premette quello di mezzo, poi si accasciò contro la parete della cabina finalmente in moto. Il sudore gli invadeva gli occhi, ma risultava difficile asciugarlo con mani tanto tremanti.
Sammy lo osservò dal proprio angolo, le ginocchia rannicchiate sotto il mento, il viso rotondo mortalmente pallido. Purtroppo, Joe si sentiva troppo ansioso per riuscire a rassicurarlo in modo convincente.
Il battente che si parò dinnanzi a loro al termine della breve corsa era di magnifico mogano. «Reparto mobili e sedie da giardino», annunciò Creed con buonumore forzato quando il montacarichi si fermò. Quindi aiutò il figlio ad alzarsi in piedi. «Saremo fuori di qui in un attimo, Sam. Vedrai quando lo racconterai ai compagni di scuola. Non riusciranno a crederci.» Gesù, e chi ci avrebbe creduto?
Aprì la porta (che su quel piano scorreva con facilità) ed entrambi emersero in un subbuglio generale.
L'atrio era invaso dagli ospiti in maschera che si accalcavano in preda all'agitazione e schiamazzavano eccitati, cercando di uscire tutti assieme dall'ingresso principale del Mountjoy. Joe fu sorpreso nel constatare quanti fossero, perché a quell'ora la maggior parte doveva essersi allontanata da tempo; poi si accorse che le file degli invitati erano state ingrossate da numerosissime persone in pigiama. Sembrava che ogni singolo occupante dell'edificio, anziani e malati di mente, fosse in procinto di squagliarsela.
Il nostro eroe si unì alla folla con il figlio alle calcagna e iniziò ad aprirsi un varco, senza badare a chi spingeva da parte, se uomo, donna, giovane o vecchio. Diversi ospiti erano privi di maschera, senza dubbio caduta a terra nella mischia, e lui fischiò mentalmente nel riconoscere alcuni visi qua e là. Quello laggiù non era il vecchio vescovo che non cessava di tormentare il Sinodo con il suo ostinato rifiuto di qualsiasi manifestazione miracolosa? Il tizio lì a destra, poi, era sicuramente un membro del Governo Ombra, un uomo universalmente ritenuto in lista d'attesa per la carica di Primo Ministro qualora l'attuale governo avesse perso le prossime elezioni. Cristo! E quella donna là davanti assomigliava proprio alla moglie dell'uomo d'affari americano le cui imprese multinazionali dominavano virtualmente il commercio mondiale. Le facce note erano molte, e Joe non poté fare a meno di domandarsi quale fosse il corrente prezzo di mercato per vendere l'anima al diavolo. Se avesse saputo dove rivolgersi, lui stesso avrebbe potuto stringere un patto qualche anno prima, quando era ancora giovane e ancor più bramoso di fama e ricchezza di quanto non fosse adesso.
Continuò a procedere, scostando a gomitate una fragile vecchietta in camicia da notte che non si era spostata con sufficiente rapidità; lei gli augurò un bel cancro, ma il fotografo era troppo occupato nella fuga per reagire. Un anziano gentiluomo dai capelli argentei e una giacca da sera verde scuro si voltò per ammonirlo a non spingere (era un attore teatrale gay che lui credeva morto da un pezzo), ma qualcun altro li urtò con tale violenza da farli quasi cadere a terra.
Questa storia sta diventando ridicola, si disse Creed, trascinando Sammy in avanti. Cosa diavolo impediva l'uscita? Ormai si trovavano quasi di fronte alle porte e la folla si era fatta tanto densa che nessuno riusciva più a muoversi. Si alzò sulle punte dei piedi per vedere che cosa stesse provocando quel blocco e scorse numerosi infermieri in azzurro intenti a trattenere la gente; udì la vocetta familiare dell'addetta alla ricezione urlare a tutti di rimanere calmi e di tornare nella sala da ballo finché andarsene non fosse stato più sicuro. Joe suppose che i paparazzi, scacciati da una porta laterale, si fossero radunati là fuori con le macchine fotografiche pronte, in attesa che gli invitati facessero capolino dall'ingresso principale.
Si rese conto che lui e Sammy non sarebbero mai riusciti ad allontanarsi da quella parte. D'accordo, troviamo un'altra via di fuga.
«Nessun problema», tranquillizzò il bambino. «Ora ci spostiamo sul retro dell'edificio.»
Ma proprio allora eruppe un grido così acuto da sedare il tumulto per un paio di secondi, seguito da una singola parola altrettanto agghiacciante:
«Fuoco!»
Questa volta urlarono tutti.
Joe fece appena in tempo a prendere in braccio Sammy prima che un'ondata di colpi li risucchiasse, sospingendoli verso l'uscita. Nulla (sicuramente non la grassona e il suo manipolo di forzuti) avrebbe potuto arrestare quella marea. Invitati e pazienti, cui si erano adesso uniti i folli del sotterraneo, giunti al piano superiore portandosi appresso le fiamme, esplosero letteralmente nella fredda aria notturna, calpestando chiunque ostacolasse il flusso (come l'addetta alla ricezione).
Creed e Sammy vennero sballottati qua e là, accecati dalle luci dei flash e quasi assordati dalle urla di panico. Ma erano liberi, e il nostro eroe, dopo aver baciato il figlio allibito, per sfogare la propria gioia sfilò la maschera alla persona più vicina, per poi voltarsi di scatto e fare lo stesso con il fuggiasco sull'altro lato.
«Prendeteli, ragazzi!» sbraitò all'indirizzo dei paparazzi, ridendo mentre veniva trascinato via nella fiumana di corpi. «Immortalate questi stronzi!»
La folla si assottigliò man mano che gli invitati raggiungevano le auto e molti, indubbiamente i pazzi, sfrecciavano attraverso il prato e scomparivano nell'oscurità.
«Joe! Joe!»
Nel sentirsi chiamare, lui si bloccò, guardandosi attorno. Qualcuno stava correndo lungo il viale nella sua direzione, una figura che gli risultava impossibile riconoscere a causa dei costanti bagliori delle macchine fotografiche.
«Joe, ma che cosa sta succedendo?»
Prunella gli si gettò fra le braccia, cogliendolo alla sprovvista e facendolo barcollare all'indietro. Sammy, che era rimasto a osservare gli splendidi riflessi arancioni che si sprigionavano dalle finestre del Mountjoy, si girò per capire che diavolo stesse ancora capitando. Riportò la propria attenzione sull'edificio in fiamme non appena si accorse che si trattava soltanto di una ragazza.
«Sei stata tu!», esclamò Creed, tenendola stretta.
«Va bene, ma continuo a non capire che cosa sta accadendo qui dentro. Questo pomeriggio, quando mi hai telefonato, non mi hai dato alcuna spiegazione. Che ne dici di farlo adesso? A che festa ti riferivi, e chi sarebbero le celebrità riunite in questo posto? Uno dei fotografi mi ha raccontato che c'era anche Lily Neverless, ma è assolutamente impossibile, vero?»
«Sì, è impossibile. Ma l'hanno fotografata.»
«Non capisco. Perché hai voluto che spargessi la notizia del ballo di stasera? Come mai non hai voluto tenertela per te? Non ci arrivo, Joe, proprio mi sfugge. Spiegami il perché!»
«Assicurazione», rispose lui, sorridendo da un orecchio all'altro. Quindi la baciò, mentre Sammy faceva una smorfia di disgusto.
«Assicurazione», ripeté infine.
37
Ecco tutto, più o meno.
Creed, il nostro eroe non troppo ammirevole, ce l'ha fatta. Ha salvato il figlio da un fato terribile qual è la morte e, come avrebbe presto scoperto, ha impedito a un potere immensamente malvagio di sollevare nuovamente l'orrenda testa (per il momento, quantomeno). È inoltre riuscito in questo intento pur senza possedere un gran coraggio, non essendo dotato di troppi scrupoli (ammesso che li abbia mai nutriti) e motivato in massima parte dall'interesse personale. Ciò potrebbe rappresentare una lezione per noi tutti.
Avendo combattuto la grande battaglia (soprattutto fuggendo) ed essendo risultato vincitore, ci ha dimostrato come non solo gli audaci, i temerari e i nobili possano conseguire un risultato; talvolta persino gli individui discutibili ci riescono.
Il futuro di Joe Creed? Beh, tanto per cominciare, per lui il presente non è del tutto finito. L'epilogo deve ancora arrivare...
Un altro giorno, un altro po' di soldi, pensò nel girare con una certa stanchezza la chiave nella serratura.
Sul tetto, un uccellino salutava trillando l'alba; Creed guardò il cielo, grato per il primo chiarore. Ne aveva avuto abbastanza della notte.
Oltrepassò l'ingresso di casa, si chiuse il portone alle spalle e si sedette sull'ultimo gradino, regalandosi un attimo di tregua e di contemplazione per rimettere ordine nei propri pensieri.
Sammy era nuovamente con la mamma e Joe si aspettava che il telefono squillasse da un momento all'altro. Evelyn si era probabilmente incollata al ricevitore nell'attimo stesso in cui il figlio aveva fatto ritorno, e lui se la immaginava in quel preciso momento, addormentata accanto all'apparecchio, sfinita dalla sua stessa perseveranza. Beh, avrebbe dovuto attendere per venire a sapere tutta la storia.
Ci erano volute più di due ore per riportare a casa il bambino, che aveva dormito per l'intero percorso dopo aver chiuso gli occhi non appena deposto dal padre sul sedile della Suzuki. Quando mancavano pochi metri dall'appartamento di Evelyn, Creed, fermata la jeep, lo aveva svegliato, ansioso di scoprire che cosa lui ricordasse della sua grande avventura. Grazie al cielo, non un granché: di essersi ridestato in una grande casa per poi riaddormentarsi subito, di aver visto gente vestita in modo buffo e di essere stato inseguito da un sacco di persone altrettanto strane. Questo era più o meno tutto, a parte il fatto che aveva fame, sete e voglia di tornare a casa.
Forse il piccolo avrebbe rammentato altri particolari più avanti, una volta svaniti gli effetti della droga, ma gran parte degli eventi gli sarebbero sembrati solo un sogno, e bisognava ringraziare il Signore per questo. Il peggio che Evelyn avrebbe potuto sentirsi raccontare sarebbe stato un rapimento di breve durata.
Infine aveva portato Sammy in braccio sino alla soglia e, suonato il campanello, si era chinato a baciarlo sulla fronte. Il bambino non aveva reagito gettandogli le braccia al collo, dicendogli che era il papà migliore del mondo e che, una volta cresciuto, avrebbe voluto diventare esattamente come lui. Non gli aveva neppure chiesto quando sarebbe tornato a trovarlo. Si era limitato a sbadigliare.
Nel momento in cui si era accesa la luce nell'ingresso, Joe aveva attraversato velocemente il giardino ed era risalito sulla Suzuki. Da lì aveva udito la voce irritata dell'ex moglie, il mormorio di risposta di Sammy e si era soffermato solo finché la porta non si era aperta prima di riaccendere il motore e allontanarsi come un razzo. Per nessuna ragione al mondo avrebbe affrontato Evelyn quella sera.
Tra l'altro, rimanevano ancora moltissime cose da fare.
Una volta rientrato a Londra, la notizia si era ormai diffusa, dato che il tamtam fra giornali funzionava ancora nonostante il ghetto di Fleet Street non esistesse più. Tutta la stampa parlava del grande incendio nella tenuta di campagna e i paparazzi erano occupatissimi a vendere ad agenzie e quotidiani le foto di una donna che assomigliava in modo impressionante all'attrice recentemente scomparsa, Lily Neverless. Alcuni di loro avevano addirittura scattato le immagini della stessa donna dilaniata da quello che sembrava un grosso cane vestito bizzarramente, ma nessuna delle istantanee era riuscita molto bene. Sfortunatamente l'intero edificio (che si scoprì più tardi essere una specie di casa di cura per ricchi) era rimasto distrutto dalle fiamme, a quanto pareva seppellendo nel crollo la presunta Lily e numerose altre persone. Per peggiorare le cose, quella sera era stato organizzato un ballo in maschera e gli invitati erano rimasti coinvolti nell'incendio; ancora non si era riusciti ad accertare il numero delle vittime. Comunque esistevano ottime istantanee degli ospiti (alcuni dei quali assai noti) che fuggivano nei loro splendidi costumi. Ottimo materiale per l'edizione del mattino.
Arrivato al Dispatch, Creed si rifiutò di lasciarsi andare a qualsiasi commento finché non ebbe sviluppato personalmente la propria pellicola. Le foto scattate al Mountjoy erano perfette, anzi, fantastiche, e costituivano una prova lampante delle spaventose attività che si svolgevano nella cosiddetta casa di cura: i sotterranei, il povero Henry Pink, la sala operatoria con il cadavere mutilato di Antony Blythe sul lettino di metallo, il magazzino pieno di organi umani. Era semplicemente sensazionale, e Joe sapeva di aver finalmente azzeccato il grande colpo.
Naturalmente, tuttavia, quando si presentò al capocronaca con la storia tenne per sé i particolari incredibili: demoni, resurrezioni, mostri e creature in grado di mutare forma. Mai e poi mai avrebbe rischiato di distruggere il proprio scoop (e il suo valore in denaro sonante) con simili idiozie soprannaturali. Nemmeno per sogno.
Rapimento, omicidio, trapianti clandestini, crudeltà, incendio doloso e una banda di folli che aveva assunto il controllo del Mountjoy (più un accenno al fatto che un notissimo assassino di bambini era sfuggito all'impiccagione con il beneplacito delle autorità poco prima della seconda guerra mondiale) gli sembravano già sufficienti. Chi poteva desiderare altro? Non lui, no di certo.
Trovandosi per la prima volta in vita sua nella posizione di potere contrattare, insistette che fosse Prunella a scrivere l'articolo (dunque non si può neppure definirlo del tutto cattivo, e inoltre, avendo apprezzato quell'intermezzo sessuale pomeridiano con lei, sperava di replicarlo nel prossimo futuro).
Ci volle parecchio tempo per narrare gli eventi e per rispondere ai mille quesiti successivi, il che spiega perché ormai albeggiasse quando il nostro eroe fece infine ritorno a casa.
Avrebbe anche potuto addormentarsi ai piedi delle scale se un rumore proveniente dal piano di sopra (oh, Dio, come si era abituato a quel genere di situazione nel corso degli ultimi giorni!) non lo avesse messo in agitazione.
Capì immediatamente chi fosse l'intruso e non balzò verso la porta. No, era veramente troppo stanco e, tra l'altro, quasi tutta la sua capacità di provare paura si era ormai esaurita. Forse sapeva per puro istinto che il peggio era passato, o forse l'atmosfera stessa non suggeriva il minimo accenno di pericolo. Oppure si trattava semplicemente della consapevolezza che quella bizzarra faccenda doveva per forza avere una conclusione. Ed era proprio questa conclusione che lo stava attendendo al piano superiore.
Un lievissimo aroma muschiato sulle scale accennava già alla sua presenza.
Con passo pesante, Creed salì i gradini.
Trovò Cally in camera da letto.
38
lei era avvolta in una cappa rosso scuro che le ricopriva quasi tutto il corpo, e stava seduta sul letto con le ginocchia flesse e la schiena contro il muro. Le prime luci dell'alba che filtravano fra le tende parzialmente tirate regalavano ombre piuttosto che luminosità.
«Inutile chiederti come sei entrata», esordì Creed dalla soglia.
La ragazza non rispose.
«Già, ne ero certo. Puoi andare e venire a tuo piacimento, vero?» Joe rimase sulla porta, non più spaventato dalla sua vicinanza, ma neppure così stupido da precludersi la possibilità di una rapida fuga.
«Dovevo parlarti», affermò lei, la voce carica di stanchezza, quasi fosse esausta quanto il suo interlocutore. «Volevo... spiegare.» L'ultima parola fu pronunciata in tono fiacco, come se fosse inadeguata.
«Perché? Che te ne importa?»
Lui la udì sospirare.
«Voglio che finisca qui, Joe. Se continui a porti interrogativi, non sarai mai soddisfatto, cercherai di scoprire da solo la verità, e ciò potrebbe agitare nuovamente le acque.»
«Pensi davvero che sia interessato fino a questo punto? Ascolta, ne ho avuto abbastanza e intendo dimenticare tutto.»
«Forse in questo momento la pensi così, ma alla fine ti lascerai vincere dalla curiosità e comincerai a scavare in questioni che potrebbero rivelarsi nocive per te e per chi ti circonda. Le domande prive di risposta non ti abbandonano mai, vero?»
Lui scrollò le spalle. «Forse hai ragione. Mi sono accadute troppe cose assurde perché sia in grado di riflettere lucidamente.»
«Eppure avevi iniziato a credere. Avevi finalmente perso il tuo scetticismo.»
«Non era quella l'idea?»
Una pausa, quindi: «Non sei sempre ottuso come sembri. Sapevi che stavamo cercando di farti crollare, mostrandoti eventi che nessuna persona normale potrebbe accettare, preparandoti per il momento in cui avevamo bisogno che tu credessi a qualsiasi cosa ti avessimo presentato».
«No, non lo avevo capito. Ci sono arrivato solo questa mattina, mentre guidavo verso casa. Avreste potuto liberarvi di me facilmente fin dal principio. Cristo, aveva il potere di farlo.»
«Belial?»
«Nicholas Mallik.»
«È lo stesso.»
«Come vuoi. Quindi ho immaginato che mi aveste terrorizzato con uno scopo preciso. Certo, il progetto originario consisteva unicamente nell'impadronirvi delle foto di Mallik al funerale di Lily, ma poi vi siete spinti più in là. Si è trasformato in una specie di gioco, vero?»
«In un certo senso. Lui pensava che se tu, un vero cinico in quest'epoca di scetticismo, potevi essere convinto che gli Angeli Caduti esistevano sul serio e non erano soltanto una fantasia mitologica, allora loro sarebbero stati in grado di riacquistare un potere ormai vacillante.»
«Una cosa magnifica, la fede.»
«Nel caso di Dio funziona.»
«Continuo a non capire perché proprio io.»
«Ti ci sei ritrovato per caso.»
«No, mi riferisco al fatto che il ballo in maschera dell'altra notte era pieno di credenti.»
«Tutti avevano un ottimo motivo per credere. Ciascuno di loro ha ricavato un beneficio da Belial. Tu, invece, eri un estraneo, un ateo, e in quanto tale sei divenuto una specie di banco di prova.»
«Come sono fortunato.»
«Ho cercato di avvisarti.»
«Ecco, questo tuo atteggiamento mi è sempre risultato incomprensibile.»
Lei rimase in silenzio per qualche tempo. «Verresti più vicino?» chiese infine.
«Preferisco di no.»
«Sei al sicuro, Joe. Non intendo farti alcun male.»
«Ma davvero?»
«Siediti ai piedi del letto mentre ti spiego il resto.»
Che diavolo, pensò lui. Poteva essere in fondo alle scale prima che Cally sollevasse un dito o iniziasse a sfumare i propri contorni. Ubbidì, pronto a prendere la fuga alla minima provocazione.
«Allora, perché hai cercato di mettermi sull'avviso?» domandò.
«Non sono una di loro, parte di me è diversa. Sono vittima di un conflitto interiore che non si è ancora risolto. È possibile stancarsi del male, sai?»
«L'eccesso può diventare noioso in qualsiasi campo.»
«Sì, e suppongo sia lo stesso anche per loro.»
«Dimmi chi sono 'loro', Cally.»
«Te l'ho già spiegato. Gli Angeli Caduti, i seguaci dell'Arcangelo che perse la grazia. La notte scorsa ne hai visti alcuni con i tuoi occhi: Abraxas, Hel, Fomors, Adramelech, Loki e altri. Essi si manifestano quando la fede è intensa.»
«Aspetta un attimo! Intendi forse insinuare che quei fenomeni da baraccone mangiati dalle tarme, con code da serpente, piume di pavone e sa Dio che altro erano gli Angeli?»
«Meglio definirli demoni. Comunque no, quello non è il loro vero aspetto, ma piuttosto il modo in cui l'umanità li immagina. Appaiono esattamente come vengono percepiti.»
«Ho visto Mallik diventare uno di loro.»
«Hai visto Belial, ma solo in quanto concetto. Pochissimi possiedono il potenziale per scorgere il vero demone delle menzogne, e la sua vista ha sempre comportato la perdita della ragione, se non della vita stessa.»
«Mallik e Aleister Crowley...»
«Crowley era dotato della capacità e della bramosia di vedere. Belial si è rivelato al maestro di magie e a suo figlio molti anni orsono a Parigi. Il primo è impazzito e il secondo è morto per il trauma suscitato da quell'apparizione.»
La ragazza si accorse del sorrisetto di Creed. «Ah, i tuoi dubbi stanno tornando molto in fretta. Buon per te. Ti sarà più facile fartene una ragione.»
Alla debole luce dell'alba, i suoi capelli avevano perso splendore e i suoi occhi sembravano stanchi; lui pensò che fosse in procinto di addormentarsi. «Parlami del Mountjoy Retreat», la sollecitò. «Per quali scopi veniva usato?»
«Credo che Belial intendesse distruggerlo una volta realizzato il proprio progetto. Era un luogo di riposo, Joe, un posto in cui riprendersi. Un rifugio, in sostanza, e un deposito per tutti i tesori da lui accumulati nel corso dei secoli.»
«Era ben più di questo. Si trattava di un fottuto manicomio.»
«Non solo. Anche una sede di ringiovanimento.»
«Per la resurrezione, vuoi dire.»
«Proprio così.»
«Lily Neverless...»
«Non è riuscita troppo bene, vero? In definitiva, i nuovi organi non sono stati in grado di giovarle. E il suo cervello si era ormai deteriorato al di là di ogni recupero. Belial ti riteneva responsabile perché avevi interrotto il rituale nel cimitero.»
«Quando ho fotografato Mallik?»
«Mentre versava il proprio seme nel terreno per favorire la rinascita.»
«E io che pensavo fosse soltanto uno sporco vecchio pervertito!»
«Scherza pure, se preferisci, Joe. Probabilmente è meglio così.»
«No, non c'è nulla di divertente. Lily non era l'unica, vero? Tenevate le scorte nel seminterrato per usarle in caso di necessità. E Mallik lo faceva già negli anni Trenta.»
«Hanno sempre... raccolto.»
Creed si sporse in avanti. «Spiegami, che ne sarebbe stato di Lily? Se la situazione non fosse precipitata, intendo dire. Che cosa avrebbero — avreste — fatto di lei?»
«Avrebbe continuato a vivere al Mountjoy, come aveva pattuito con Belial. Sarebbe sopravvissuta, al pari di molti altri.»
«Altri fallimenti?»
«In realtà, i fiaschi erano pochissimi, e i peggiori venivano tenuti nelle stanze al livello inferiore.»
«Bell'eufemismo! Definiamoli pure sotterranei. Credevo servissero per i dementi come Henry Pink, che fossero un luogo di tormento per chiunque avesse fatto infuriare Mallik in passato.»
«Alcune persone dovevano essere punite.»
«Pink era un boia di professione, Cristo santo! Non ricavava alcun piacere nel giustiziare la gente.»
«Lo credi davvero? E tu saresti il cinico?»
Quel commento ridusse al silenzio Creed per qualche secondo. «E chi altri veniva confinato là sotto?»
«Gli esperimenti e coloro che erano stati mantenuti in vita troppo a lungo.»
«Ho visto un poveraccio coperto di bende dalla testa ai piedi, anzi, al piede.»
«Quell'uomo aveva parecchi secoli. Non era rimasto quasi più niente di lui.»
«Era come... una mummia.»
«Da dove pensi che nascano le vostre leggende? Credi sul serio ai vampiri, alle mummie viventi?»
«Ai lupi mannari? E quel gorilla che assomigliava a Frankenstein...»
«Al mostro di Frankenstein. Prometeo, per essere più precisi. E, naturalmente, agli zombie? Sono tutte fantasie create da voi sulla base di pettegolezzi, persino di conoscenze subconsce, dei nostri metodi. Esagerazioni volte ad alleviare i vostri timori più profondi.»
«Stai insinuando che Nos... Bliss non era un vampiro?»
«Naturalmente no, ma alla fine neppure lui ne era più tanto certo. Si può dire che Bliss aveva cominciato a credere alla sua stessa immagine pubblicitaria.»
«Ma era capace di cose sorprendenti, tipo galleggiare fuori della mia finestra...»
«Un'illusione, come avevi sospettato inizialmente. Noi volevamo che tu credessi a questi avvenimenti, anzi, ti abbiamo aiutato a farlo.»
«Mi ha pugnalato con un dito. E ho sanguinato davvero, non me lo sono immaginato.»
«Mostrami la ferita.»
Senza esitare, Creed si sbottonò il cappotto. «Ecco, guarda, macchie di sangue.»
«Mostrami la ferita», ripeté lei.
Joe si scostò la camicia e rimase a fissarsi il petto. Quindi si toccò la pelle, voltandosi verso la luce. «È sparita. Non c'è più il minimo segno.»
«Stai già cominciando a diffidare di ciò che sai.»
«Secondo te è autentico solo ciò in cui credi?»
«No, ma se tu non accetti qualcosa, il suo effetto è minimo. E funziona in entrambi i sensi: i poteri della Luce, quando non vengono accettati, ne risultano sminuiti quanto i poteri delle Tenebre.»
«Un paio di giorni fa mi sarei rotolato dal ridere sentendo discorsi simili. Persino adesso sto dicendo a me stesso che dovrei perlomeno ridacchiare.»
«Forse è proprio quello che farai domani. Comincerai a chiederti se non hai sognato una buona metà degli eventi di cui sei stato testimone. Tenterai di proteggerti.»
«So che cos'è accaduto.»
«Staremo a vedere.»
Cally si mosse sul letto e Creed si scostò, sul punto di alzarsi in piedi. «Non essere nervoso, Joe. Te l'ho detto, è finita. Per il momento Belial ha lasciato questo posto.»
«Questa è un'altra cosa di cui non mi capacito. Perché Mallik si è ucciso?»
«Belial non è mai stato vivo, non nel senso che siamo stati condizionati a ritenere vita. Ha semplicemente distrutto l'involucro di cui si è servito per molti, molti anni, assieme ai segreti e ai tesori radunati in quel lasso di tempo. In parole semplici, si è stancato del gioco.»
«E tutto qui, un gioco?»
«Più o meno. È sempre stato così.»
«Ed è terminato?»
«Oh, no. Ricomincerà daccapo, ma ignoro quando o dove. Forse in un luogo in cui le antiche credenze sono ancora forti. Sudamerica, India, chi lo sa? Il Medio Oriente è già usato da altri, ma esistono dozzine di zone oscure su questa terra, paesi, addirittura continenti, ove i demoni possono prosperare.»
«Tutto qui? Ha fatto le valigie e se n'è andato?»
«Non ha portato niente con sé. Non ha bisogno di nulla, neppure del suo leale servitore, Bliss. Si è stancato anche di lui.»
«E al Mountjoy è andato distrutto proprio tutto?»
«Tutto ciò che aveva importanza.»
«Dunque hai lasciato che tua madre morisse nell'incendio.»
Cally alzò di scatto la testa, quasi fosse sorpresa dalle sue parole. «Continuo a dimenticarmi di quanto poco tu capisca», affermò. «Mia madre era Lily Neverless. Nicholas Mallik, Belial incarnato, è mio padre.»
Ci volle un po' prima che una simile affermazione penetrasse. Creed si sfregò la fronte, quindi la nuca, aprì la bocca per ribattere e la richiuse nel rendersi conto della propria confusione. Infine tentò di nuovo. «Grace Buchanan non esiste?»
«Joe, tutti sapevano che Lily aveva una figlia, e hanno dato per scontato che Edgar Buchanan fosse il padre. Non hai ancora capito? Grace Buchanan sono io.»
«Ma dovrebbe essere vecchia, avere perlomeno...»
«Hai visto così tanto, eppure dubiti ancora delle forze oscure! Noi possiamo controllare il processo di invecchiamento proprio come alcuni nelle nostre file sono in grado di controllare la loro forma. Io ho scelto di fermarmi a una determinata età, per quanto ciò significasse che, dopo un certo numero di anni, non avrei più potuto farmi riconoscere come la figlia di Lily Neverless. Ecco perché Grace è stata nascosta agli occhi del pubblico e abbiamo deliberatamente propagato le voci di una malattia mentale.»
«Ma tuo fratello...»
«Daniel? Non mio fratello, Joe, mio figlio. Generato da qualcuno non molto dissimile da te, e per questo privo di poteri demoniaci.» Parlò in un soffio. «Ma ora i nostri poteri stanno svanendo più rapidamente, adesso che Belial ci ha abbandonato.»
Creed provò una morsa allo stomaco. Cally era ancora in ombra, anche se la luce che filtrava dalla fessura fra le tende si era fatta più forte da quando era entrato nella camera da letto. Ora le vedeva gli occhi, ma il resto del viso era tanto indistinto da lasciar supporre che fosse coperto da un velo sottile. Alzatosi dal letto, si diresse alla finestra, scostò le tende e permise al chiarore dell'alba di invadere la stanza. Infine si voltò verso la ragazza.
Lui (e forse anche voi) si aspettava di scorgere una vecchia, magari addirittura una megera raggrinzita, dato il trauma fisico di un invecchiamento repentino. Ma Cally non era cambiata affatto.
Lei gli sorrise. «Succederà, Joe. Non subito, però.»
Il nostro eroe si sentì sollevato e, com'è abbastanza naturale, molto meno allarmato. Tornò a sedersi sul letto, questa volta più vicino a lei, e si accigliò.
Si notava un mutamento. La pelle di Cally era ancora chiara e priva di rughe, ma i suoi occhi rivelavano il passare degli anni: non apparivano semplicemente stanchi, bensì abbattuti.
Si sporse per sfiorarle una mano, ma lei si sottrasse rapidamente.
«Per favore, Joe, non farlo. Per il tuo bene.»
«Laura... tu...?»
La ragazza annuì. «Dio solo sa il perché, ma in principio provavo qualcosa per te e intendevo davvero aiutarti. Temo che la condizione umana sia sempre stata uno dei miei punti deboli. Ti volevo, però il desiderio è diventato qualcosa di più, una specie di lussuria malsana. Io stessa mi sono trasformata in un altro essere, una creatura fondamentalmente carnale, in modo da poter ricavare da te un piacere assoluto. Persino questo, tuttavia, si è mutato in un'altra cosa, un istinto ben peggiore...»
«Ma mi hai salvato, ricordi? Quel giorno, negli uffici della...» Si interruppe, riflettendo intensamente. «Liable and Co.» Fece schioccare la lingua. «L'istinto mi aveva detto che quel nome era strano. Un semplice anagramma di Belial, giusto? Non troppo brillante, ma del resto chi lo avrebbe capito? Tu, però, sei venuta in mio soccorso.»
«Il gioco doveva proseguire. Spetta solo ai tuoi amici il merito di averti salvato la notte scorsa.»
«I miei colleghi paparazzi.»
«Come hanno saputo che Lily si trovava là?»
«Non lo sapevano affatto, esattamente come me. Ho semplicemente intuito che stavo cacciandomi in una situazione assai al di sopra delle mie forze, così mi sono procurato una specie di assicurazione. Ho chiesto a una persona al mio giornale di spargere la voce che al Mountjoy Retreat stava per succedere qualcosa di grosso. Supponevo che nel numero potesse risiedere maggiore sicurezza, e non mi ero sbagliato. Non mi hai visto mentre mi nascondevo lungo il viale, vero? La verità è che conoscevi le mie intenzioni e mi stavi aspettando. L'addetta alla ricezione sapeva benissimo chi ero quando mi sono presentato nel pomeriggio. Mi hai quasi giocato, Cally, te lo devo riconoscere.»
«Racconterai tutto?»
«Ti stai chiedendo se venderò l'intera storia al maggiore offerente? Sarebbe pura follia. Ho già materiale più che sufficiente anche senza i risvolti demoniaci.»
«Non possiedi alcuna prova dell'esistenza di Nicholas Mallik, né fotografie, né negativi. Ne sono lieta.»
Lui scrollò le spalle. «Avrebbe aggiunto un po' di sapore. Un omicida e mutilatore di bambini, che si supponeva giustiziato negli anni Trenta, tuttora all'opera sotto una nuova identità dietro l'innocua facciata di una casa di riposo per anziani facoltosi. Persino dopo tutto questo tempo rimaneva una netta somiglianzà fra le sue foto al cimitero e quelle pubblicate sui giornali dell'epoca.» La sua voce lasciò trasparire il rammarico.
Lei sorrise appena. «Non cambierai mai, Joe. In definitiva, forse è stata la tua natura meschina a farti superare una vicenda simile.»
«Mi piace pensarlo.»
La ragazza protese una mano verso di lui. «Non sei poi tanto diverso da noi», dichiarò.
Creed sentì la propria mente ammorbidirsi, diventare preda di una infiltrazione piacevole e seducente che gli offuscava i pensieri. Cally stava respirando profondamente, osservandolo con occhi velati. Il fotografo si ricordò della sua sostituta, la donna che aveva affermato di chiamarsi Laura, della sua pelle candida, di ciò che si celava fra le sue cosce d'avorio.
Cally iniziò a respirarlo e lui si protese per...
Si bloccò di colpo. L'immagine della ragazza si era fatta meno definita, aveva cominciato a ondeggiare.
«Nooooo», la udì gemere.
Ma ormai stava affondando dentro di lei, i sensi risvegliati dal ricordo e dal fascino di Cally stessa. L'odore muschiato del suo desiderio sessuale era forte e intossicante. Adesso era vicino, così vicino, le labbra a pochi centimetri dalle sue... quelle di Cally... di Laura...
«No!» Con un grido acuto, lei lo spinse via bruscamente, facendolo cadere sul pavimento.
E fu di nuovo Cally, gli occhi limpidi, sebbene distanti. Per un secondo parve ritirarsi in se stessa.
«È finita», mormorò infine con voce priva di inflessione.
Creed riprese il controllo di sé. Certo, era finita, lo sapeva, ma per un attimo...
Si alzò in piedi e tornò alla finestra, bloccando gran parte della luce. «E meglio che tu te ne vada, Cally», suggerì.
Lei assentì, ma non si mosse. Forse stava cercando di dominarsi. Quando si allontanò dal letto, parve più piccola, in qualche modo meno vitale, priva di energie. Si diresse alla porta.
«Dove andrai?» le chiese lui, restio a vederla scomparire, eppure disperatamente ansioso che accadesse.
«Aspetterò. E poi lo troverò.»
«Devi proprio farlo? Non puoi vivere un'esistenza normale?»
Anche la sua risata era sfinita.
«Sono sua figlia.»
Si avvolse nel mantello rosso e oltrepassò la soglia.
Creed la inseguì, ma con titubanza.
«Cally!» chiamò infine. Tuttavia, quando emerse sul pianerottolo, trovò ad attenderlo soltanto Grin con un topo fra i denti.
«Non ora, razza di stupida», borbottò aggirando la gatta.
Il portone d'ingresso era aperto e di Cally non si scorgeva più traccia. Creed corse dabbasso e uscì nel vicolo. «Cally!» gridò di nuovo, ma la ragazza era ormai svanita. Lui arrivò fino all'angolo e si guardò attorno, dapprima freneticamente, poi con calma. «Cally.» Tuttavia non si trattava più di un richiamo.
Il nostro eroe rabbrividì (forse per il freddo) e lanciò un'ultima occhiata alla strada. Era proprio la fine? Se n'era davvero andata per sempre? Una parte di lui lo sperava. Un frammento del suo essere, però, relegato a un livello a metà fra il conscio e l'inconscio, nel luogo in cui ogni genere di perversione ama celarsi, sperava il contrario. Si frugò in tasca in cerca di una sigaretta.
Merda, di sicuro non aveva bisogno di quel tipo di complicazione.
Si incamminò verso casa, sostando un attimo per accendersi la sigaretta. Sarebbe stata una giornata pesante, preceduta da una sola ora di sonno con il telefono staccato. Fra non molto Evelyn avrebbe raggiunto il culmine dell'isteria e lui voleva fornirle una storia plausibile, qualcosa che lo avrebbe fatto apparire un eroe. Dannazione, era davvero un eroe: suo figlio era stato rapito e lui lo aveva salvato senza ricorrere all'aiuto di nessuno. Quale cavaliere dall'armatura splendente avrebbe potuto dimostrarsi più audace, quale padre più coraggioso? L'intero Stato maggiore dei media si sarebbe precipitato alla sua porta non appena la prima edizione del Dispatch fosse apparsa nelle edicole, ma non avrebbe ricavato molto da lui. Il suo giornale aveva già staccato un bell'assegno. Dio benedica il ricco proprietario e tutti i suoi avi, e di conseguenza era necessario tornare in ufficio per completare gli ultimi dettagli della storia. Ma per prima cosa, dopo un breve riposo e a un'ora più civile, si rendeva indispensabile una tappa all'agenzia di stampa, dove lo stavano aspettando una serie di provini del secondo rullino usato al cimitero quel giorno fatale. Il rullino che conteneva una chiarissima istantanea di Nicholas Mallik davanti alla tomba di Lily Neverless. Non avrebbe provato nulla, poteva anche non ammontare a un granché, tuttavia avrebbe aggiunto al materiale una nota piccante extra.
Già.
Creed entrò in casa e si chiuse il portone alle spalle. Questa volta badò bene a far scattare le serrature.
FINE